Wednesday, October 19, 2011

Una nota sugli scontri

Il 18 ottobre 2011 a Roma si è tenuta una imponente manifestazione featuring l’indignazione della popolazione per la crisi italiana e globale. Il corteo è balzato agli onori (si fa per dire) della cronaca per via delle devastazioni di cosiddetti “black bloc,” ossia individui incappucciati che bruciano, spaccano, distruggono la città.

Come volevasi dimostrare, gli organi di stampa di proprietà del (o comunque vicini al) governo hanno colto la palla al balzo e accusato l’opposizione, proposto generalizzazioni pressappochiste, sputato sentenze e dato fiato ai soliti pregiudizi su chi scende in piazza a manifestare le proprie idee. Anche il governo (o quel che ne rimane) ha dato prova di se. Mr Maroni si è affrettato a dichiarare quanto sta nei sogni proibiti di ogni estremista di destra: è ora di leggi “speciali.” Già già, speciali. Non sono leggi normali quelle che limitano la libertà di espressione della cittadinanza. Devono essere straordinarie, eccezionali, o semplicemente “speciali.” Ma, prima di ritornare alla decisione di Mr Maroni, avanzo un paio di considerazioni sui criminali mascherati.

Come appare evidente dalle immagini diffuse sul web, gli individui mascherati sono una sparuta minoranza di quelli scesi in piazza il 18 ottobre. Ciononostante sono stati capaci di creare scompiglio e rovinare una giornata di pacifica protesta. Come è stato possibile? In primo luogo, e affermo l’ovvio, penso che non si tratti di un gruppo disorganizzato di persone che hanno deciso una volta arrivati a Roma di iniziare il “saccheggio.” Forse qualcuno ha pensato bene di aggiungersi una volta iniziato. Ma per portare quel tipo di distruzione, sapendo dove andare, come assediare la polizia e come nascondersi tra la folla, immagino che sia necessario un minimo di coordinamento. Dunque, la prima domanda (forse semplice) è: a quale organizzazione o associazione fanno capo questi individui?

La seconda osservazione riguarda le forze dell’ordine. Ancora dalle immagini diffuse in rete risulta chiaro che gli individui responsabili della distruzione erano facilmente riconoscibili perché per lo più vestiti di nero, con il volto coperto da passamontagna o dal casco e spesso brandivano qualcosa (una spranga, un estintore, altro). Immagino che gli agenti di polizia e i carabinieri siano addestrati per far fronte ad episodi di guerriglia urbana. Altrimenti non si capisce cosa ci stiano a fare. Comunque, se non i singoli agenti, immagino un comandante dell’esercito o della polizia che sia “esperto” in servizio d’ordine di manifestazioni imponenti, guerriglia urbana, lotta per le strade o altri simili (e tristi) eventualità. Seconda domanda: come può accadere che, quando i facinorosi sono circoscritti e ben riconoscibili, le forze dell’ordine non siano in grado di intervenire?

Che un corteo pacifico possa degenerare è una eventualità che dovrebbe sempre essere considerata da chi è esperto di ordine pubblico. La composizione dei manifestanti studiata, i percorsi analizzati, alcuni agenti infiltrati e i presidi distribuiti con criterio (non random, come pare sia accaduto). Terza batteria di domande: Ma davvero pensiamo che le forze dell’ordine dello Stato italiano non abbiano queste competenze? Davvero si pensa che siamo nelle mani di sprovveduti? E se così, cosa si aspetta a rovesciare l’ordine dello Stato, magari instaurando una democrazia vera e propria?

Due i casi: (1) lo Stato italiano ha un corpo di polizia totalmente sprovvisto della professionalità minima e necessaria per mantenere l’ordine pubblico oppure (2) i criminali mascherati sono stati lasciati liberi di agire di proposito (forse erano loro gli “infiltrati”).

Per tornare a Mr Maroni, i dubbi espressi sopra derivano dalle dichiarazioni lette sui giornali. Di fronte al fallimento (se tale è stato), una persona seria e responsabile (e mi pare che il Ministro dell’Interno sia responsabile, tra le altre cose, dell’ordine pubblico!) si esprime con un mea culpa e dichiara che occorrerebbe studiare meglio e di più le modalità di intervento per garantire il costituzionale diritto dei cittadini di protestare pacificamente. Invece, la geniale pensata è quella di presentare delle leggi “speciali.” Dunque, per curare un cancro sarebbe lecito e giusto fare fuori la persona, no? Il ragionamento non fa una grinza. 

Il problema italiano si sta espandendo a macchia d’olio. Criminali mascherati e quelli non mascherati hanno iniziato ad agire di concerto.

Monday, October 3, 2011

Come liberarsi degli altri

L’altra sera ho visto il film del regista danese Anders Rønnow Klarlund, dal titolo Hvordan vi slipper af med de andre (trad. “come liberarsi degli altri”). Ambientato in una Danimarca contemporanea (o dell’imminente futuro), il film racconta la storia della soluzione adottata dal parlamento danese per fare fronte alla crisi del welfare state. Le statistiche nazionali mostrano che il 20% della popolazione usufruisce del 60% dei programmi di assistenza. In periodi di crisi economica, questo può rivelarsi un grave problema, come abbiamo tutti imparato a riconoscere. La soluzione? Creare dei campi di concentramento per eliminare tutti coloro i quali abbiano vissuto alle spalle della società (nel film si tratta di alcolisti, falliti, disabili, etc.).

C’è una strana sensazione di incredulità che prende durante la visione, nonostante il film sia girato con poche iperboli grottesche. Man mano che seguivo le vicende dei personaggi principali, nella mia mente si faceva sempre più chiara una analogia. Cosa sconvolge quando si pensa all’adozione di una “soluzione” così drammatica e drastica? Beh, si potrebbe dire, molte cose. In primo luogo, la mancanza assoluta di rispetto per la vita umana. In secondo luogo la sofferenza delle persone, la brutalità dei mezzi, lo stato di polizia, e altri simili aspetti fondamentali. Ma non è tutto qua. Questi, è vero, sono aspetti fondamentali ma probabilmente lontani dalla realtà per molti Stati occidentali. E, paradossalmente, il film presenta una idea che potrebbe praticamente essere adottata. Il paradosso consiste appunto nell’immaginare quali sarebbero le conseguenze, sul piano internazionale soprattutto, per uno stato europeo che introducesse campi di sterminio come parte della politica di “risanamento” dei conti pubblici. Uno dei punti di forza del film è appunto questa sottile oscillazione tra realismo e paradosso. Sebbene interessante, questa non è l’analogia di cui ho scritto sopra.

Ciò che mi ha colpito è invece il parallelo i partiti estremisti (e.g., Lega Nord). Se ci si pensa, la “soluzione” non è affatto tale. Al contrario, il problema delle risorse da distribuire in uno Stato costituisce uno dei problemi principali, soprattutto per garantire il futuro e l’agio delle generazioni future. La “soluzione” è un rifiuto di affrontare il problema e, come tale, non risolve nulla. Semplicemente aiuta ad evitare di pensarci. In parallelo, quale è la soluzione proposta da partiti europei come la Lega Nord di fronte alla distribuzione delle risorse in Italia? Secessione. Ecco l’analogia. Quando non si hanno idee o strumenti intellettuali di altro genere per affrontare i problemi, la “soluzione” è amputare, tagliare, condannare, dimenticare o, per usare le parole del film, liberarsi degli altri.

Ci sono mille ragioni per condannare le politiche leghiste ma a me pare che questa analogia aiuti a mettere in evidenza (a) la pochezza intellettuale dei promotori, (b) l’illusorietà di talune “soluzioni” e (c) la pericolosità di modi e mezzi.

Speriamo che la realtà italiana non superi il grottesco e il paradosso di questo film surreale.

Wednesday, September 28, 2011

Crisi? Crisi!

Quante volte abbiamo letto che la moneta unica europea non ce la può fare, che l’euro cadrà sotto i colpi della speculazione internazionale, che il progetto è partito con uno o parecchi vizi di fondo. E ancora leggiamo che alcuni esperti di economia e finanza internazionale---molti sono da sempre euro-scettici---condannano le scelte della Germania e dell’area-euro di sostenere le economie in crisi (Grecia in primis). Forse chi scrive in questi termini ha ragione e tuttavia un semplice sguardo prospettico potrebbe suggerire altrimenti. Facciamo un passo per volta.

È banale ricordare, anche se in troppi sembrano essersene dimenticati, che la moneta unica non è altro che l’ultima tappa di un processo iniziato nel 1951, con la fondazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Quali erano gli obiettivi del processo di unificazione europea? Il preambolo del trattato CECA, e di quello che istituisce la Comunità Economica Europa (CEE), risponde alla domanda in almeno due modi: (1) evitare che si scateni un’altra guerra nel continente attraverso (2) l’integrazione di parti sempre più rilevanti della struttura socio-economia dei paesi membri (allora solo 6), per arrivare gradualmente (ma inevitabilmente) ad una vera e propria unione politica. L’euro si inserisce in questa prospettiva. Non è altro che una delle ultime tappe del lungo processo di integrazione che, si auspica, porterà ad una unione sempre più stretta tra i paesi e i popoli del continente.

Dunque l’euro non è un evento separato da tutto quanto lo ha generato e dalle prospettive/problematiche che si sperava aprisse. Una di queste prospettive/problematiche era appunto quella di mettere politica, economia e società davanti ad una evidenza: le economie dei paesi europei necessitano di un governo. Le relazioni economico-finanziarie tra i paesi europei sono ormai così strette che non sembra più possibile andare avanti senza un governo dell’area-euro. In sintesi, la crisi può essere efficacemente fronteggiata non solo costringendo gli Stati nazionali a politiche economiche di rigore e crescita ma con delle azioni uniformi a livello europeo. E queste azioni sono azioni di governo: politiche economiche, sociali e fiscali europee. 

Come sempre in questi casi, vi sono diversi modi per raggiungere l’obiettivo. E gli estremi sono sempre quelli: (a) procedere in modo graduale alla cessione di sovranità nazionale, e (b) creare un governo europeo a capo di uno Stato europeo. 

La crisi è crisi dell’euro e dell’Unione Europea così come la conosciamo. Se accettiamo la prospettiva offerta, potremmo riconoscere che la crisi sia, almeno in parte, dovuta al fatto che negli ultimi 20 anni circa (e precisamente dal Trattato di Maastricht, 1992), il processo di unificazione abbia subito un netto rallentamento, seguito ai primi 40 anni di crescita. La soluzione, qualunque essa sia, dovrà partire da un rilancio del processo di integrazione europea.

A mio modo di vedere, quanto ho scritto sono semplici banalità. È ovvio pensare all’euro non solo come moneta ma come simbolo del moderno tentativo degli Stati europei di superare insieme le difficoltà economiche e politiche che, dal secondo dopoguerra ad oggi, hanno dovuto affrontare. Non si tratta solamente di “economia” o “finanza.” Certamente questa dimensione esiste ed è molto importante. Tuttavia, più importante di questa è la dimensione politica e di significato: la moneta unica è una delle tappe che, si spera, porterà ad una più stretta unione tra i popoli e gli Stati europei. E questo necessita di una più stretta integrazione politica, di un governo europeo.

Ecco perché i commenti strettamente basati su soluzioni economico-finanziarie portano necessariamente a giudizi negativi sull’area-euro e sulle prospettive dell’Europa: perché non colgono l’aspetto fondamentale, quello politico del processo di unificazione. E non considerare l’aspetto politico e di prospettiva significa sottovalutare il problema, non comprendere l’essenza di ciò che l’euro rappresenta per il continente: il futuro.

Un’ultima osservazione. Ho notato che molti dei commenti negativi sull’euro e sulle prospettive della crisi per l’Unione Europea arrivano da economisti “Made in USA” o “Made in UK.” Strano, non trovate? Chissà che non stiano esprimendo in qualche misura del wishful thinking

Saturday, September 10, 2011

Event Finance

In un articolo pubblicato nel 2009 sul Journal of Business Ethics, Jay J. Janney, Greg Dess, and Victor Forlani mostrano come un evento particolare nella vita di 175 multinazionali abbia ripercussioni sul prezzo di mercato delle rispettive azioni. L’evento in questione è entrare a far parte di una iniziativa delle Nazioni Unite, nota come Global Compact (UNGC). Sottoscrivere l’accordo significa manifestare un interesse verso una economia sostenibile attraverso l’applicazione, in azienda, di 10 principii tra i quali vi sono diritti dei lavoratori, diritti umani, ecologia e corruzione. Per mantenere la sottoscrizione attiva, la compagnia deve pubblicare un rapporto annuale nel quale indicare i passi fatti verso l’implementazione o il miglioramento dei 10 principii. Ora, lo studio in questione mostra come vi siano delle reazioni positive, rappresentate da un apprezzamento delle azioni, che fanno seguito alla comunicazione pubblica di sottoscrizione del UNGC da parte dell’azienda.

Non è la prima volta che mi capita di leggere di studi rivolti a cercare un collegamento tra particolari eventi con l'andamento dei prezzi di mercato. Si tratta di una pratica comune per chi studia gli andamenti di mercato e non semplice, posto che la variazione del prezzo ha, di norma, numerose componenti. Tuttavia, e nonostante l’esempio, la mia domanda è sulla seguente proporzione: così come il prezzo delle azioni può essere legato agli eventi dell’azienda che rappresenta, è possibile che l’andamento di un mercato (dell’indice di borsa) sia legato ad eventi particolari che riguardano lo Stato? La risposta sembra essere positiva e, in questo caso, forse più evidente. 

Non è mia intenzione quella di presentare dati e commentare il ruolo di certe scelte politiche. Ho solo la pretesa di indicare che i movimenti negativi del mercato sono una reazione alle misure del governo italiano di fronte alla crisi del paese. Gli operatori di mercato hanno comunicato ripetutamente non tanto quanto la manovra sia inadeguata, questo è evidente, piuttosto, a me pare che la comunicazione sia più del tipo “siete degli incompetenti!” E vorrei andare oltre. 

Mi sembra che questi ultimi eventi assumano una natura paradossale. I governi di Mr B hanno ridotto drasticamente gli investimenti (già piuttosto scarsi) in cultura, educazione, ricerca. Non solo, il governo e i suoi ministri si sono prodigati nel continuo tentativo di sminuire e ridicolizzare tutto ciò che fosse legato alla cultura e alla conoscenza, in generale (per esempio, ricorderete Mr Tremonti quando disse che "la gente non mangia di cultura" o qualcosa di simile). Ora, quale potrebbe essere una legge del contrappasso che “dia una lezione” ad un povero e inconsapevole folle che non attribuisce alcun peso alla conoscenza? Forse qualcosa che lo metta in condizione di rimpiangere di non avere proprio quella conoscenza che ha sempre disprezzato. E magari a fronte di un problema che deve essere risolto. Dunque eccoci alla “lezione” che i mercati nazionali e internazionali stanno dando a Mr B e i suoi sgherri. Non solo Mr B, ministri e sottosegretari non hanno idea di cosa fare ma non hanno nemmeno idea di chi si possa interpellare per una consulenza. Le università? Non direi. Mr Tremonti è un esempio lampante di quanto le università italiane sono in grado di produrre: idee vecchie e poche. Inoltre, i pochi luminari ancora presenti nelle università italiane non scenderebbero certo a compromessi con Mr B. L’analfabetismo del secolo scorso è stato debellato, quello di questo secolo è al governo!

Il problema? Che la “lezione” sarà inflitta non solo ai poveri inconsapevoli che governano il paese e a quelli che li hanno votati ma anche, ahimè, a quelli che di questo “circolo dell’ignoranza” non fanno parte. 

Sunday, September 4, 2011

Storie di libri

Venerdì mattina ho ritirato un libro dalla cassetta della posta all’università. Si tratta del libro A Perfect Mess. Uno dei due autori, Eric Abrahamson, è un collega della Columbia University che ha scritto alcuni articoli interessanti dei quali mi sto occupando. Questo libro è una sorta di elogio del disordine. Sì, proprio così. In sostanza, gli autori mostrano che ci sono dei costi (di tempo, mentali, effettivi) che si associano col tenere in ordine. Ho pensato che, in quanto affetto da disordine cronico e membro attivo dell’associazione “Esteti del disordine,” nella mia biblioteca non poteva mancare questo tomo.

Ma veniamo al reale proposito di questo post: Sapete quanto ho pagato per averlo? Attraverso amazon.co.uk, la mia spesa è stata di £0.01 + spese di spedizione. In totale, ho pagato un paio di sterline per un libro nuovo e di circa 300 pagine. Ironia della sorte, mentre mi veniva recapitato il libro venivo a conoscenza di una strana legge italiana sui libri che sarebbe entrata in vigore a partire dal primo Settembre. L’articolo Ultime ore di svendite su Amazon. Poi gli sconti sui libri bloccati per legge rende noto che non sarà più possibile praticare sconti superiori al 15%. Semplicemente folle. Le ragioni di una simile pensata? Proteggere i rivenditori locali (italiani) dall’avvento di amazon.it. E sapete cosa rende il tutto ancora più incredibile? Il fatto che vi siano alcuni del settore editoriale italiano che si sono espressi a favore della legge.

Partiamo dal presupposto. L’Italia è, tra tutti i paesi occidentali, quello che ha il minor numero di lettori. L’italiano/a medio/a---è risaputo---non legge i quotidiani, magazine, riviste, non naviga su Internet e non legge libri. La spesa in cultura della famiglia italiana è del 2.4% sul totale delle spese (media europea 4.5%; dati 1999; fonte Eurostat 2007, EU Cultural Statistics). So cosa state pensando e mi spiace di smentirvi immediatamente: i dati mostrano che nemmeno chi ha i soldi, in Italia, li spende in cultura. Più di un italiano su tre (36%) dichiara di non aver letto nemmeno un libro nell’ultimo anno (media EU27 è 28%), in Germania e nel Regno Unito lo stesso dato è risponde al 18% (Eurobarometer 67.1, 2007, Tavola QA4.10). 

Sebbene sarebbe interessante indagare sulle cause di questa vergognosa condizione (*) che molto dice sullo stato di economia, politica e società, in questo post non mi pongo il problema.

Vorrei invece porre alcune questioni per capire se la nuova legge---come la ho intesa, attraverso l'articolo sopra citato---aiuti l’italiano/a a leggere di più o se, invece, lo aiuti a rimanere nella sua proverbiale ignoranza (eh già, vista dall’estero è davvero “proverbiale”!!): 
  1. Quando un prodotto non vende, il prezzo dovrebbe calare, in modo da renderlo più appetibile e incrementarne le vendite. In questo modo, lo si rende accessibile, nel caso in cui il prezzo iniziale sia molto alto. Per esempio, un libraio dimezzerebbe il prezzo di un romanzo, le cui copie rimangano invendute sugli scaffali per 12 mesi. Qualora questo non avvenisse, si avrebbero almeno due risultati. Il primo è quello di scoraggiare l’acquisto; a volte si è disposti a spendere €5.00 ma non €10.00 per un romanzo che non sia un best-seller. Il secondo è quello di rendere più difficili le vendite per i librai; questo ovviamente ha ripercussioni sulla catena di fornitura e dunque sull’intero settore.
  2. Un prodotto indesiderato o del quale non si percepisce il bisogno, se offerto ad un prezzo stracciato, potrebbe venire comprato. Che cosa me ne faccio del libro Selected Writings di Joan Robinson? Non è il mio campo, non ho tempo di leggerlo e non immagino che mi possa servire in qualche modo. Ma ecco che sulla copertina leggo che il prezzo è $0.50. “Beh” mi dico “certo che prima o poi, magari, potrei anche leggerlo…” Ovviamente lo ho comprato e ho letto qualche pagina!
  3. Quanto ho scritto nel punto precedente mi è capitato (forse troppo) spesso. Alcuni libri acquistati a poco prezzo sono ancora lì che aspettano di esser letti. Ma questo è un’altro punto importante: il libro è un investimento! Non è necessario che l’acquisto venga letto immediatamente, il libro diventa parte delle potenzialità di lettura, del fatto di avere una scelta di lettura, consultazione, studio, ricerca, altro. Il prezzo di copertina e gli sconti (anche e soprattutto stracciati) consentono ad una persona di aumentare sensibilmente la propria dotazione che, in ultima istanza, è una dotazione di conoscenza.
  4. Uno degli effetti della legge potrebbe essere quello di una diminuzione generalizzata dei prezzi di copertina dei libri. Posto che i successivi sconti non potranno superare il 15%, un libro oggi venduto a €30.00 potrebbe essere prezzato a €20.00 e ridotto successivamente a €17.00. Immaginate però che il libro, in copertina rigida, sia “Il codice Da Vinci” di Dan Brown. Si tratta di uno di quei casi in cui è facile prevedere un blockbuster book in Italia, così come avvenuto nel resto del mondo. In questo caso, sarebbe sensato vendere il libro a €20.00? Pensate che la casa editrice rinuncerebbe a €10.00 per libro? E allora, una volta fissato il prezzo a €30.00, l’unica riduzione possibile sarebbe quella a €25.50. Wow! In questo caso, il sottoscritto non avrebbe mai comprato il libro. Quando lo comprai, infatti, lo pagai l’equivalente di €6.00. Non avrei speso un centesimo di più. Ma ciò che a me pare più rilevante è che ci sono “ondate” di acquisto che garantiscono profitti nel lungo periodo e per lo stesso volume per case editrici e librerie. Senza sconti significativi “di mercato” cade questa ulteriore fonte di profitti. Dunque, il risultato è duplice: meno lettori e meno profitti.
L’ignoranza di chi ha presentato, sostenuto e approvato la legge (in primis Riccardo Levi, PD) è forse frutto del fatto che si legga così poco in Italia. In tutto questo, è forse bene ricordare che l’Italia è stato a lungo un paese escluso da amazon.com. Forse a ragione.


(*) Ecco un elenco succinto di possibili concause: (1) inadeguato sostegno all’educazione, cultura, ricerca; (2) l’Italia è il più vecchio tra i paesi europei (il 24.4% della popolazione ha meno di 25 anni, contro la media europea di 28.6% e il 19.7% di anziani over 65, contro il 16.8% della media EU27); (3) l’italiano con una laurea è raro come il quadrifoglio (nella classe d’età 25-40, solo il 16% ha una laurea e nella classe over 40, il 10%; la media EU27 è rispettivamente di 27.5% e di 19.8%, con i seguenti picchi degli Stati “simili” per dimensione: DE, ca. 24%; FR, 36.7% e 18.5%; UK, 34.7% e 28.1%; ES, 37.2% e 21.5%). Fonte e altri dati disponibili: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_OFFPUB/KS-77-07-296/EN/KS-77-07-296-EN.PDF

Thursday, June 23, 2011

Teorema della sensatezza

Dopo qualche anno sono giunto ad elaborare un metodo che può essere di una qualche utilità per l'uomo/donna politico/a italiano/a. Mi pare ci sia un modo per sviluppare delle convinzioni, opinioni, idee che abbiano un senso politicamente. Il tutto a costo zero! Ecco di cosa si tratta.
Può darsi caso che ci si imbatta in discussioni o circostanze nelle quali non si abbia una opinione precisa da esprimere. La conseguenza è quella di esprimere opinioni che poi, sotto vaglio più attento, vadano riformulate, aggiustate, modificate, persino contraddette! Come fare? Onde evitare queste penose eventualità, esiste un metodo sperimentale. Purtroppo non si è avuto ancora modo di verificarne la tenuta nella pratica di un dibattito politico, ma autorevoli fonti e simulazioni matematiche portano a pensare che i risultati siano garantiti. Il metodo compare sotto la forma di un teorema, il "teorema della sensatezza". Come funziona? Semplice, basta legge l'enunciato:

Teorema. Una opinione politica ha senso nella misura in cui si colloca all'opposto di qualunque commento, opinione, idea, suggerimento o azione che provenga dalla classe dirigente del partito politico Lega Nord.

Seguono alcuni suggerimenti per l'uso. Prendete una posizione qualunque. Non è necessario che sia recente, potete pescare tra le strabilianti posizioni che la Lega aveva assunto negli anni '90 quando, per intenderci, se la prendevano con quelli che loro chiamano "terroni" o "meridionali". Ma non ci formalizziamo, qualunque opinione leghista va sempre bene. Dunque, si prenda una posizione della Lega a caso, per esempio "I professori meridionali tolgono lavoro a quelli del nord" (frase di Umberto Bossi, 2008, legata alla scuola pubblica; http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200807articoli/34957girata.asp). Ecco alcuni modi per collocarsi all'opposto, dal più semplice al più articolato (aggiunte in grassetto; tra parentesi il metodo di rovesciamento utilizzato):
  1. I professori meridionali non tolgono lavoro a quelli del Nord (rovesciamento per negazione)
  2. I professori meridionali lavorano insieme ad a quelli del Nord, in uno spirito di unità nazionale! (r. per cooperazione)
  3. Alcuni professori meridionali tolgono lavoro a quelli del Nord, che, a loro volta, dovrebbero andare al Sud... dovremmo interrogarci sul perché non lo fanno, invece... (r. per ritorsione)
  4. I professori "meridionali"... ma di cosa stiamo parlando?!? Dei meridionali di Lombardia che tolgono lavoro a quelli del nord Europa? (r. per estensione)
  5. I professori meridionali che tolgono lavoro a quelli del nord saranno evidentemente quelli più preparati e disposti positivamente al cambiamento: tanto di cappello! (r. per evidenza)
  6. La frase "i professori meridionali tolgono lavoro a quelli del nord" suggerisce che vi sia un diritto di sangue necessario per lavorare nel Nord Italia... Se non è razzismo questo, qualcuno spieghi cosa è, allora? (r. per implicazione)
  7. Se i professori meridionali tolgono lavoro a quelli del nord, qualcuno potrebbe spiegarmi il concetto di libero mercato, per favore? Penso di essermi perso qualcosa... (r. per incredulità)
  8. I professori meridionali tolgono lavoro a quelli del nord: assolutamente! Meglio fermare questo scempio, prima che i concorsi pubblici vengano estesi a e vinti da altri stranieri che hanno miglior merito e titoli! (r. per falso accordo)
  9. I professori meridionali tolgono lavoro a quelli del nord, quelli del Nord a quelli dell'Est, quelli dell'Est a quelli dell'Ovest; ma questo non è quanto accade negli Stati Uniti? Beh, un paese economicamente sottosviluppato, nevvero? (r. per comparazione)

Queste nove argomentazioni (altre se ne potrebbero aggiungere) fungono da "corollari applicativi" del teorema principale.

Ora cimentatevi nel tentativo di mostrare come si possa rovesciare l'argomento leghista creando qualcosa che abbia comunque un senso. Scrivete pure le vostre idee/applicazioni nei commenti a questo post. Aiutatemi a valutare il teorema della sensatezza.

Grazie. Alla prossima.

Monday, June 20, 2011

Scary Night

Una notte di Giugno. 2011. Io e Claudia siamo rientrati da una divertente serata con gli amici. È una di quelle domeniche "nordiche": si mangia polenta, si beve in compagnia, si balla il liscio (chi lo sa fare e pure chi non lo sa ballare), si ride. Molto. Si rientra a casa e si dorme della grossa. Infine ci si sveglia solo per scoprire di essere stati derubati.

Lombardia 2011. Giugno. Sono sveglio ma rimango a letto. Qualcosa mi sveglia definitivamente, la voce di Claudia. È agitata. "I ladri, sono entrati i ladri". Mi tiro su dal letto come una molla, prendo un paio di pantaloni e me li infilo in fretta. Guardo in giro ma non mi rendo conto di nulla. Appena fuori, sul prato nel retro ci sono delle carte per terra. Sembra quanto può ritrovarsi all'interno di un portafogli. Claudia mi allunga il mio portafogli. I soldi sono spariti. Le carte sono ancora lì. Controllo che la Green Card sia al suo posto. Non c'è. Quasi vado nel panico, la perdita significa l'impossibilità di rientrare negli States. Subito dopo appare sul prato, come in un flash. Sospiro di sollievo. Ma la carta non vale nulla senza il passaporto! Corro allora dentro casa a controllare che il passaporto sia nella tasca anteriore dello zaino. Lo zaino. È al suo posto. Il passaporto pure. A quel punto vengo quasi congelato da una idea rapida, istantanea, confusa ma viva nell'emozione. Il mio Mac! Mi muovo velocemente ma sconnessamente verso a cucina, un occhiata rapida sul tavolo. Nulla. Né computer, né cavo.

2011. Nord Italia, area "evoluta" e ricca del paese. Può accadere che qualcuno sia così disperato da scassinare la serratura della porta di casa, entrare mentre stai dormendo, allungare le mani sul portafogli (anche se si trova sulla sedia di fianco al letto), prendere un bauletto che assomiglia al portagioie (sempre in camera da letto), portarlo in cucina e lì trovare la manna, un MacBook Pro nuovo fiammante, costato €2,500. E se ci fossimo svegliati? Mi vengono i brividi al pensiero.

Che fare? Nulla. Siamo stati a presentare denuncia. "Quante ce ne arrivano, specialmente da quella zona" ci hanno detto alla centrale. E, a meno di reati più gravi o di prove, non ci sono le risorse per perseguire i criminali.

Nonostante quanto si possa pensare, non sono i poveri disgraziati (forse mentecatti) che ci hanno derubato che occupano i miei pensieri ma il fatto che sia difficile impedire che qualcuno ti entri in casa, almeno quando tu sei dentro. Inoltre, la pressoché totale mancanza di fiducia nella probabile cattura dei malviventi è frustrante, come minimo.

Una considerazione su tutte. La Lega governa il Nord Italia---specialmente la Lombardia e il Varesotto---da quasi 20 anni. La loro propaganda politica è da sempre orientata alla sicurezza. Hanno persino creato dei gruppi di picchiatori leghisti (le cosiddette ronde) per instillare nella gente un senso di "sicurezza" alla buona. Chiaramente non si può generalizzare sulla base di un caso tuttavia è possibile porsi qualche domanda. Cosa porta, se non la disperazione, qualche disgraziato a derubare una casa nonostante la presenza degli inquilini? Come si può essere disposti a rischiare così tanto?

Secondo la locale caserma dei carabinieri ormai sono poche le case della zona escluse da questa tipologia di furto. Non solo la politica della Lega Nord è farlocca ma probabilmente, posto che hanno governato l'intero paese per quasi 10 anni, ha contribuito significativamente a creare delle sacche di poveri disperati e disgraziati che rischiano tutto pur di sopravvivere.

Dovremmo forse iniziare a porci seriamente dei dubbi su quali siano i reali intenti della Lega. E questa è l'ennesima volta.

Wednesday, May 4, 2011

Politica estera "Made in Lega Nord"

Alcune dichiarazioni, purtroppo non spontanee, di un sindaco, Mr Tosi, esperto di politica estera della Lega Nord:
“[…] il problema è che era sbagliato bombardare la Libia perché c’è una guerra tra tribù, non era un leader… la Siria, la Siria c’è un governo che sta sparando sulla gente. Manifestano, gli spara, vanno ad un funerale, gli spara. Sulla Siria non interviene nessuno. Si sta discutendo che forse gli si fa le sanzioni… pian piano vedremo. Siccome—perché sulla Siria non c’è il problema del petrolio perché non ne ha neanche abbastanza per se stessa—siccome la Libia il petrolio ce l’ha e ci sono anche interessi economici importanti, e allora la Francia, forzando la mano nell’Unione Europea e poi in sede ONU—la Francia ha forzato la mano—ha bombardato. Noi siamo stati inerti e l’errore nostro è stare inerti su quello che era comunque una questione, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista umanitario problematica per l’Italia. Perché comunque, da un punto di vista umanitario è chiaro che bombardando succede quello che sta succedendo.”
Una logica schiacciante, direi. Per qualche strana ragione, il conduttore non è soddisfatto della esposizione e incalza “…inerti come iniziativa politica?” Ed ecco l’esperto Mr Tosi che specifica:
“Inerti come iniziativa perché comunque la Francia non ha bombardato la Libia e Gheddafi per tutelare i civili, la Francia sta bombardando e ha cominciato a bombardare per prima perché voleva sostituirsi all’Italia negli interessi economici, perché lei non era il primo partner. Noi avremo un danno di miliardi per quanto riguarda le nostre aziende che lavoravano e non so se lavoreranno più in Libia perché adesso ci siamo fatti odiare da una parte della popolazione libica mentre invece la Francia, che non era influente, ha cercato di sostituirsi. La Francia in Africa, in particolare nel corno d’Africa e in altre zone, ha sempre fatto quel cavolo che voleva. La Costa d’Avorio ultimamente, ma è anni che lo fa, siccome aveva un interesse da tutelare, ha mandato i corpi speciali a fare quello che cavolo vogliono. Quindi… noi dovevamo difendere, sia da un punto di vista, ripeto, del problema umanitario e anche quindi dell’arrivo di clandestini o di profughi, perché adesso arrivano i profughi dalla guerra, sia da un punto di vista economico, perché abbiamo degli interessi nazionali importanti e abbiam lasciato che qualcun’altro ci sopravanzasse e facesse quello che voleva, cioè la Francia.”
A parte la trascrizione del parlato che è di per se problematica, Mr Tosi non facilita la comprensione attraverso l’uso di un linguaggio aulico e altamente sofisticato. Si tratta chiaramente del risultato di numerosi anni di studio presso una scuola di politica estera messa a punto dalla Lega Nord che non consente ai cittadini di comprendere a fondo la complessità e la profondità di espressioni quali “[l]a Francia […] ha sempre fatto quel cavolo che voleva.” E ancora, come a ribadire l’importanza dell’espressione, “la Francia […] ha mandato i corpi speciali a fare quello che cavolo vogliono.” Pare che la Francia, a detta dell’esperto Mr Tosi, abbia messo gli italiani nelle condizioni di dover “difendere […] degli interessi nazionali importanti.” Chiaro? Forse no. E allora, diamo all’esperto Mr Tosi occasione di specificare ulteriormente cosa intende:
“Allora, dobbiamo guardare da dove siam partiti [noi della Lega] e dove siamo arrivati. Siamo partiti da una situazione dove l’Italia si era fatta scavalcare dalla Francia, perché questo è oggettivo. […] La Francia, che ha il suo cortile che è il corno d’Africa e qualche altra realtà, è andata nel nostro cortile, che è la Libia. E l’errore di politica internazionale che abbiamo fatto noi è lasciare che qualcun altro venisse a razzolare nel nostro cortile.” 
Capito adesso? La scuola di formazione sui temi della politica estera della Lega sfodera una serie di termini brillanti e originali per descrivere le dinamiche internazionali. Avevate mai sospettato che la Libia fosse il vostro ‘cortile’? Ma che meraviglia, che sottigliezza, che ricchezza di termini e significati! La Francia ha invaso gli interessi dell’Italia andando a bombardare nel nostro cortile. Direi, di conseguenza, e cercando di interpretare la logica dell’esperto—so che non sono qualificato e mi scuso se mi permetto di andate avanti—, l’Italia dovrebbe (a) bombardare il cortile della Francia per via della famosa legge cardine della politica leghista, quella del taglione, oppure, con mossa spavalda e agendo di sorpresa, (b) bombare direttamente la Francia. Chissà che non imparino una volta per tutte con chi hanno a che fare! 
Ecco, invece la Lega Nord vota una mozione per cercare di impedire che l’Italia si unisca alla missione in Libia. E per quale ragione, penserete? A seguito della finissima analisi e accurata ricostruzione dei fatti da parte dell’esperto Mr Tosi, penso che l’unica occupazione della lega sia quella che loro chiamano “emergenza umanitaria”, vale a dire l’immigrazione.
Non penso ci sia bisogno di ulteriori commenti, a parte il fatto che il centro di formazione di politica estera della Lega—ammesso che esista—pare più squola che scuola.

Two Ideas for the Democratic Party

Riporto qua sotto un brevissimo commento che ho mandato al Democratic Party (United States), stimolato da una loro email. Ci si prepara alle presidenziali dell'anno prossimo e il partito chiede ai comitati di base e ai volontari di condividere le proprie idee/opinioni con i vertici.
Avendo partecipato alla campagna che ha portato alla elezione di Mr Obama, ricevo news e messaggi. Non so bene cosa faranno di quanto scrivo qua sotto ma spero possa essere uno spunto per il dibattito.

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There are too many ideas I would like to share. I do not want to waste your time and focus on just two. What follows is just a very short summary of my thoughts. Please contact me if you believe, as I do, these to be priorities.

1. It is time to resurrect the NAFTA. The agreement is not working. One of the things that we have learned from the economic crisis is that the U.S. cannot get out of it all by itself. One of the alternatives that are available today is that of obtaining control over international relations that affect economy, trade, and financial markets. Extensive freedom of movement for goods, services, people, and capitals with Canada and especially Mexico could help the economy find the increase in productivity and efficiency that is needed. This could not be done in one or two years. A detailed and well defined timeline is needed, to help partners (Mexico in particular) get ready for a greater and more powerful unified North American market. In doing so, a sort of "Marshall Plan" for Mexico (and for depressed areas in North America) is needed. An economically developed Mexico could help the U.S. in many ways. For example, it could (a) dramatically reduce immigration flows, (b) provide a safer and larger economic market for our companies, (c) help re-establish economic leadership, and (d) reduce illegal drugs trade from the South.  Maybe, it is also time to change the name NAFTA into something more appealing and appropriate to these new goals; what about the North American Union? The U.S. needs to think of its future role in the world and start building it while it still has some power and influence left.

2. Due to recent attacks to basic human rights from Republicans all over the country, I believe that a top priority for the Democratic Party is to push for more compelling legislation on unions. The U.S. should ratify international conventions on laborers' rights, including the one from the International Labor Office (ILO) that proclaims the four fundamental rights of workers. The U.S. signed the convention but never ratified it. This allowed State legislators to trash union rights, even in those states where progressive legislation has a very long and well-established tradition (e.g., Wisconsin). Ratification of international conventions make it impossible to Republican State governors to throw workers rights away. This has become a top priority because it is, at its very end, an attempt to create a newly poor and voiceless class, despite the growing power of corporations and their advocates. It is time to stop Republicans to increase the divide between the poors and riches in America. The first step is to restore basic and fundamental human rights.

Thank you for reading.

Wednesday, April 6, 2011

Una breve nota su Spinelli

Pochi, forse pochissimi italiani hanno sentito nominare Altiero Spinelli. Eppure, si tratta di uno dei politici più originali e influenti per quanto riguarda la battaglia per l’Europa unita. Sua l’idea, nel lontano 1941 insieme ad Ernesto Rossi, che una associazione di Stati—una federazione scriveva nel Manifesto scritto a Ventotene, dove scontava il confino per reati di opinione politica—avrebbe potuto porre fine alla guerra in Europa. Sua l’idea che la cessione di parte della sovranità degli Stati nazionali avrebbe portato alla creazione di una nuova statalità europea. E ancora, sua l’idea di avere un voto popolare per le elezioni del parlamento europeo, sua quella della moneta unica. Insomma, per chi non l’avesse mai sentito nominare, si tratta di uno degli attori fondamentali che hanno contribuito a creare il quadro di riferimento di ciò che l’Unione europea è al giorno d’oggi.
La bibliografia su Spinelli è piuttosto ampia. Essendo uno dei fondatori del Movimento Federalista Europeo (MFE), molti intellettuali e studiosi hanno dedicato numerosi lavori sul nostro. In particolare, esiste un libro pubblicato da Il Mulino, Altiero Spinelli. Machiavelli nel XX Secolo, edito da Piero Graglia, che raccoglie molti scritti di Spinelli sul federalismo europeo. La tesi che il libro sostiene, ampiamente condivisa da quelli che hanno conosciuto Spinelli e lavorato con lui all’obiettivo dell’unificazione europea, è che il nostro sia stato il migliore interprete moderno di Machiavelli. Ci sono due dimensioni in questo. La prima è quella, attuata innumerevoli volte dai militanti (che parola!) del movimento federalista, di essere “consigliere del principe”. Il ruolo che Spinelli vedeva per se e per la propria creatura organizzativa (il MFE), era quello di indicare la via ai governanti, di spiegare al potente di turno quali fossero i vantaggi della unificazione europea e quali i rischi di una mancata attuazione. Fin qua, il ruolo ritagliato dal nostro e dal movimento sembra piuttosto neutro. Infatti, potrebbe essere quello (e spesso lo è stato) di una guida intellettuale e critica, di una prospettiva originale e nuova sulla politica estera degli Stati nazionali.
La seconda dimensione è più problematica perché solleva delle questioni morali. Come è noto, il lavoro di Machiavelli non pone il problema morale al centro delle scelte. In estrema sintesi e correndo il rischio di banalizzare, una volta stabilito che l’obiettivo è auspicabile e degno, nonché vantaggioso, qualunque mezzo consenta di raggiungerlo diventa lecito. Questo il significato della celebre massima “il fine giustifica i mezzi”. In chiave spinelliana, le alleanze si portano avanti con tutti, a prescindere dalla loro estrazione, purché si condivida l’obiettivo della unificazione federale dell’Europa. E tuttavia, sotto il profilo morale, questo non sembra essere sostenibile. Per quale ragione? Facciamo un esempio.
L’assunto è che la federazione europea non si sia ancora realizzata. Immaginiamo che in uno dei principali paesi europei si sia insediato un governo di destra, le cui manovre politiche sono fatte a dispregio di istituzioni e democrazia. Immaginiamo inoltre che alcuni ministeri chiave di questo governo siano affidati ad esponenti di una destra razzista, xenofoba, separatista e belligerante, che molto ha in comune con le radici di quel fascismo che teneva Spinelli al confino. Ora, ammesso che questo signori abbiano intenzione di ascoltare e ammesso che non sia una perdita di tempo fare i consiglieri di questi “principi,” il problema è il seguente: è lecito avere a che fare con i razzisti? Detto altrimenti, è moralmente accettabile condonare o sopportare il razzismo se questo ci porta all’obiettivo finale? Si può scendere a patti con chi fa della discriminazione e dell’intolleranza la regola della propria esistenza politica?
A mio parere questo non è possibile o, se volete, non è accettabile in quanto snaturerebbe la decenza e la bontà dell’obiettivo finale, per quanto giusto. La tesi secondo cui vi sarebbe un “greater good” (un bene superiore) per il quale ogni sacrificio è valido, ha ancora da essere dimostrata. Soprattutto con riferimento alla unità europea.
In sintesi, accetto la prima dimensione del Spinelli Machiavelli ma rifiuto la seconda e mi chiedo e vi chiedo se non sia arrivato il momento per una seria autocritica del federalismo cosiddetto “militante.”

Thursday, March 24, 2011

Fenomenologia della crisi [Parte I]

Ho sempre trovato molto sconfortante l’idea che vi sia una ciclicità nella storia. Frasi quali “la storia si ripete”, i “cicli e ricicli storici” o altre simili sottintendono un pensare piuttosto superficiale e una mancanza di spirito critico sul come interpretare il presente. Pensare che ci siano dei cicli che ricorrono periodicamente nella storia dell’umanità significa non riconoscere che l’organizzazione di fenomeni complessi, quali la vita sociale, economica, culturale, politica e quant’altro, non sono mai (né lo possono essere) uguali a se stessi. Il motivo sta nella fondamentale imprevedibilità del comportamento umano o, se permettete, della psico-sociologia e della dinamica socio-cognitiva che lo influenzano. Inoltre, i fenomeni ambientali non si ripetono mai uguali a loro stessi. Ragionando per assurdo, l’introduzione di una stessa legge da parte di un ipotetico governo nel 1850, nel 1938, 1955 o 2005 avrebbe implementazione, reazioni e interpretazioni differenti. Insomma, il mix di variabili in gioco è talmente ampio che davvero rende possibile guardare con un certo incredulo distacco l’idea che vi siano dei cicli che si ripetono allo stesso modo nella storia dell’umanità.
Tuttavia, si possono trovare delle analogie storiche o delle condizioni che, ripetute in periodi e modi differenti, esprimono la possibilità che talune situazioni emergano. Queste condizioni sarebbero un presupposto (non necessario, né sufficiente) affinché un fenomeno abbia qualche chance di manifestarsi. Sono eventi “in potenza.” A cosa mi riferisco? Quanto ho in mente è legato alla crisi economica, la cosiddetta “crisi della politica” e direi, più in generale, quasi una crisi della convivenza civile. Tratto ciascuna delle tre “crisi” separatamente. Il presente post (parte I) è dedicato alla crisi economica.

Il passato decennio ha visto emergere due cataclismi finanziari che hanno avuto un significativo impatto sulle economie di quasi tutti i paesi avanzati. La prima crisi è stata quella legata alla bolla speculativa sui titoli delle società cosiddette “.com”. L’euforia dei primi anni successivi alla irruzione nella vita di milioni di persone di una nuova tecnologia, aveva dato il via ad un ampliamento degli orizzonti per l’imprenditoria. Questa euforia è stata accompagnata da una serie di quotazioni in borsa delle nuove società e ad un successivo entusiasmo degli investitori, istituzionali e non. La reazione dei prezzi alle acquisizioni di massa di certe azioni aveva portato le borse valori a livelli inaspettatamente elevati e, come si è capito in seguito, non legati all’economia reale. Di conseguenza, di fronte ad un rallentamento del fenomeno web le borse sono crollate investendo l’economia e la finanza, oltre alle aspettative degli investitori. La dimensione del crollo, si diceva allora, era del tutto simile a quella del 1929. In effetti, l’indice Dow Jones Industrial—indice spesso usato per avere un’idea generale dell’andamento del mercato borsistico dei titoli legati alla manifattura in USA—aveva perso circa il 20% nel 1929 e circa il 17% nell’anno 2002. Tuttavia, le due situazioni sono diverse relativamente alla performance dell’indice. Il 2000 registra infatti un calo dell’8% mentre il 2004 un incremento del 34% circa. Durante la crisi del 1929-32 la situazione era ben diversa: il Dow Jones Industrial ha continuato a perdere nel 1930 (-30%), nel 1931 (-54%), nel 1932 (-23%), per arrivare all’inversione di tendenza solamente nel 1933. A voler ben vedere, questa comparazione—usata frequentemente in quegli anni—non ha molto significato. E non mi riferisco ai numeri ma alla sostanza della comparazione. Spiego meglio. La crisi dell’inizio degli anni 2000 è stato un fenomeno delle società legate alla tecnologia e, come si sa, queste sono quotate nel NASDAQ. La crisi di inizio del secolo era legata al cuore dell’economia del periodo: l’industria manifatturiera tradizionale e le banche. E allora, vediamo cosa ci dicono i dati dell’indice NASDAQ Composite: anno 2000, -39%; 2001, -21%; anno 2002, -32%; anno 2003, +50%. Questi dati sono molto più allarmanti dei primi. Bolla speculativa o crisi? Crisi o sintomo di un sistema finanziario fragile? Prima di rispondere, andiamo avanti con la seconda crisi, quella attuale.
La crisi che attraversiamo ha le sue radici nell’anno 2008. Molti analisti fanno partire tutto dal crollo del subprime, ossia il mercato immobiliare americano legato a finanziamenti bancari (mutui per la casa in particolare) con un elevato grado di rischio. Anche in questo caso, la crisi è stata paragonata a quella del 1929. E la crisi finanziaria si è associata ad una forte crisi del sistema economico. Ma andiamo a vedere la performance del Dow Jones Industrial: 2008, -34%; 2009, +19%; 2010, +11%.  Il NASDAQ riporta invece: 2008, -41%; 2009, +44%; 2010, +17%. I segni sono gli stessi per entrambi gli indici, l’entità della variazione è differente essendo i titoli delle società più “giovani” e/o hi-tech di solito anche i più volatili. Vi sono tuttavia difficoltà interpretative. Come può una bolla speculativa (quella del 2000-2002) assomigliare alla recessione del 1929-32 più di quel che gli economisti chiamano recessione degli anni 2008-20XX? Forse le dinamiche di borsa non sono sufficienti ad analizzare il fenomeno. Altri dati sono necessari. Continuiamo con gli Stati Uniti.
Insieme agli indici delle borse valori, la tabella presenta i dati del prodotto interno lordo (GDP, Gross Domestic Product) e della disoccupazione (unemployment rate). I primi dati riguardano la variazione del GDP rispetto all’anno precedente. Gli anni 1929-1932 mostrano una situazione di devastazione in atto nel sistema economico, con la produzione di ricchezza che arretra del 13% (sic!) nel 1932 e la disoccupazione che raggiunge il 23%. Questi dati non trovano riscontro nelle due crisi di cui parliamo. Durante la crisi del 2000-2002, la disoccupazione aumenta ma non sembra raggiungere livelli allarmanti (5.8%) e il GDP cresce ad un tasso ridotto. La crisi del 2008-20XX (e due “x” indicano che non sappiamo quando finirà) presenta una situazione più allarmante: la disoccupazione ha raggiunto e superato il 9% e il GDP è arretrato di 2.6 punti percentuali nel 2009. Il grafico qua sotto presenta i dati della variazione percentuale di importazioni ed esportazioni, insieme al dato sul GDP degli Stati Uniti negli ultimi 80 anni. Come è possibile notare, la variazione si è accentuata negli ultimi anni ma nulla di paragonabile alla recessione della prima parte del secolo scorso.

Ci sono due considerazioni che occorre tenere presente. La prima riguarda la borsa valori. Questa è una rappresentazione del sistema, non il sistema. Si tratta di un utile indicatore, capace di fornire un sintomo al fine della diagnosi, ma poco attendibile se considerato singolarmente.
La seconda considerazione riguarda il fatto che i dati presentati sono lo specchio di situazioni e politiche economiche totalmente differenti. La crisi attuale, per esempio, è stata limitata grazie a quanto imparato dai governi del 1929. Le banche e alcune grandi imprese manifatturiere non sono fallite; lo Stato è entrato nel sistema e ha soccorso le imprese in difficoltà, con misure non scevre da critiche. Inoltre, gli Stati Uniti non sono più l’economia “emergente” che erano negli anni ’20 e ’30 ma una economia matura, sebbene le oscillazioni nei valori della economia sono sempre molto più accentuati di quanto i verifichi nei “vecchi” Stati europei.
Insomma, il paragone con quanto avvenuto nel 1929, negli Stati Uniti così come in molti altri Stati occidentali non sembra avere un fondamento. Ma allora, si può parlare di crisi? E crisi di che cosa?
La crisi economica è oggi non la causa di una crisi sociale e politica. Probabilmente è vero il contrario, la crisi dell’economia riflette la vacuità di alcuni degli equilibri sociali (forse anche culturali) che hanno fondato il sistema esistente. Ma questo ci porta a quanto scriverò nella parte II.

Friday, March 18, 2011

Idea nucleare

Non riesco a commentare la tragedia che ha investito il Giappone. Ognuno di noi è chiamato a riflettere su quanto accaduto e non ci sono parole per descrivere quel che si prova nel leggere gli articoli e, soprattutto, nel vedere la devastante e imprevedibile forza della natura. 
Esiste tuttavia qualcosa su cui è d’obbligo fare qualche considerazione. In questi giorni, in queste ore, tutto il mondo trattiene il fiato nella speranza che la centrale nucleare di Fukushima non ceda definitivamente. Ho trovato l’intervista a Carlo Rubbia, andata in onda nel TG3 del 16 marzo 2011 particolarmente condivisibile.


Per sintetizzare, scrivo due implicazioni: (1) nel caso in cui una centrale nucleare vada incontro a problemi, alcuni dei quali non sono prevedibili qualunque sia la generazione della centrale, il costo sarebbe inestimabile in termini di vite umane interrotte o deteriorate; (2) l’idea che uno Stato precario e disorganizzato come l’Italia possa investire nel nucleare far rabbrividire i nostri vicini europei, se non gli italiani stessi.

Tuesday, March 15, 2011

Il giuramento

Oggi, martedì 15 marzo 2011, leggo sui giornali che alcuni esponenti della Lega Nord hanno abbandonato una funzione pubblica durante l’inno nazionale italiano. In quel caso si è trattato di consiglieri regionali della Lombardia ma i ministri della Lega non disdegnano di insultare il tricolore, la Repubblica e l’unità d’Italia.
Non mi pare il caso di ricordare i vari sproloqui—a partire da Mr Bossi per finire con Mr Calderoli, Mr Maroni, e molti altri. Mi permetto invece di citare questa frase, trovata nel sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri:
"Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione" (link)
Sono sicuro che sapete di che si tratta: è la formula rituale del giuramento cui tutti i ministri sottostanno. I ministri della repubblica giurano fedeltà alla Repubblica. Non si specifica quale ma pensate sia quella padana (che non esiste)? Ci si riferisce forse alla costituzione della repubblica del nord? E quale “nazione”? Rileggete bene il testo adesso. 
Tutti gli appartenenti al governo fanno un giuramento formale di fronte al Presidente della Repubblica, nel quale dichiarano di esercitare le proprie funzioni “nell’interesse esclusivo della nazione.” Questo non è un giuramento in deroga alla Costituzione ma ne implementa i principi. Pertanto (1) l’interesse non è da intendere assoluto ma nel rispetto delle diversità, delle autonomie regionali, e delle differenze che pure esistono e costituiscono la ricchezza del paese; (2) la nazione cui si fa riferimento è lo Stato, posto che facciamo parte di un cosiddetto Stato-nazione, nel quale sono riconosciute le differenze e il nazione non individua cosa divide i vari italiani ma sottolinea quanto questi abbiano in comune (cioè la nazione è qui lo Stato); (3) nonostante le differenze regionali e gli interessi che si possa avere distinti da quelli dello Stato, la scelta di far parte del governo implica che questi interessi siano messi da parte e che le funzioni siano esercitate nell’interesse esclusivo dello Stato. In sintesi, quest’ultimo principio significa che si riconosce un interesse preordinato agli altri: quello dello Stato.
Ora, lasciamo pure stare tutti i vari leghisti che operano localmente. Questi signori e signore, oltre ad ignorare elementari nozioni di storia, sociologia, cultura, etnografia, filosofia, politica ed economia, non hanno alcun vincolo. In sintesi, l’ignoranza può essere una colpa—e sicuramente lo è per tutti coloro i quali promuovono la discriminazione, l’odio raziale, la xenofobia—ma ciascuno è libero di esprimere la propria opinione. 
Quello che non dovrebbe essere permesso in uno Stato civile è di consentire che coloro i quali recitano il giuramento di cui sopra poi, di fatto, agiscano nell’interesse di pochi o di aree specifiche dello Stato, delegittimino l’esistenza della nazione (intesa come Stato) e non riconoscono affatto la superiorità degli interessi statali sopra ogni altro. Ma come è possibile che un Ministro della Repubblica (con la M maiuscola) non riconosce né legittima lo Stato che dovrebbe rappresentare?
A me pare che i nostri ministri della Lega Nord hanno un chiaro obiettivo: sfasciare lo Stato o quel che ne rimane. Qualora ci riuscissero, avrebbero facile accesso al discontento popolare e alla agognata secessione. Una nota su questo. Quale è uno dei capisaldi fondamentali di uno Stato autonomo? Non pensare troppo. Si tratta delle finanze, dell’autonomia tributaria. Da dove raccimolano le risorse i nostri leghisti? Forse dalle regioni, comuni e province che controllano? Probabilmente il disegno di “federalismo” (tra virgolette) fiscale assume una diversa luce se interpretato in questa chiave, nevvero? 
E allora, cosa stanno cercando di fare i leghisti? E quanto scrivo non è forse quello che hanno sempre detto che avrebbero fatto?
Una conclusione logica in due punti. Il primo è che il Presidente della Repubblica potrebbe ricordare, di tanto in tanto, che esiste un giuramento e richiamare i ministri che non sembrano operare in ottemperanza alla Costituzione. Il secondo è che i vostri leghisti dovrebbero spiegare come si fa a dichiarare di voler sfasciare lo Stato pur avendo giurato il contrario. Cattiva fede? Menzogne?

Wednesday, March 2, 2011

I diritti delle donne

Il 13 Febbraio molte italiane parteciperanno ad una manifestazione per sottolineare l’importanza che alle donne sia riconosciuta dignità, rispetto e, soprattutto, pari opportunità. Vista dagli Stati Uniti, la manifestazione appare sacrosanta in un paese che viola costantemente i diritti delle donne. Queste violazioni non sono solo un segnale di inciviltà ma denunciano il fallimento di uno Stato. Il paese si distingue, tra quelli occidentali, per l’assenza di leggi a tutela della parità tra i sessi, la mancanza di una cultura del rispetto, il rifiuto, da parte di donne e uomini, di comprendere che le differenze tra i sessi e che le pari opportunità sono un valore da condividere e, possibilmente, da scrivere (o riscrivere in maniera più chiara) nella Costituzione della Repubblica.
Con tutti i difetti che gli Stati Uniti mostrano a se stessi e al resto del mondo, penso che si siano fatti dei notevoli passi avanti verso una maggiore parità dei sessi. Non sarebbe nemmeno da scrivere che le “battute” di Mr B sulle donne (per non parlare dei comportamenti) avrebbero probabilmente portato alle dimissioni immediate. Cioè, in realtà, non sono proprio sicuro di questo. Infatti, è impensabile che un Presidente degli Stati Uniti si manifesti irrispettoso, anche solo nelle affermazioni, dei diritti delle donne in genere o di una donna in particolare. Ma non andiamo così in alto. Diciamo che anche io rischierei il mio posto di lavoro qualora una studentessa riportasse, potendolo dimostrare, una mia eventuale affermazione sessista. Racconto un episodio, banale ma che forse rende l’idea. 
In una delle classi ero uso fare un esempio su come si prendono le decisioni. Nel corso del mio primo semestre negli States portavo un esempio che riguardava la scelta dei vestiti. La battuta, fatta solo per “alleggerire” la lezione e renderla più piacevole, riguardava il fatto che la scelta può essere una non-scelta per i ragazzi, posto che di norma si prende qualunque cosa stia sopra la pila dei vestiti (magliette, pantaloni o altro). La prima cosa che si vede è quella che finisce indosso. Per le ragazze, la scelta è più complicata invece. Il problema diventa il color-matching e gli abbinamenti di stile, per così dire. Ho notato che solo i ragazzi sghignazzavano. Insomma, per farla breve, in uno dei commenti anonimi che ho ricevuto a fine semestre, una studentessa mi invitava ad evitare commenti “sessisti.” Ho pensato (e ancora penso) che, per così poco, il commento mi pareva eccessivo. E tuttavia, pure negli eccessi ho capito che esiste una cultura del rispetto e della dignità delle differenze che deve essere considerata. Avrei sbagliato se avessi continuato a fare l’esempio così com’era. E dunque, faccio ancora l’esempio ma prendo per il culo me stesso.
Detto questo, ritorno alla manifestazione e ne traggo spunto per commentare un grave episodio recente.
Vi ricordate la (tristemente) famosa battuta di Mr B rivolta a Ms Bindi? In un intervento telefonico ad una nota trasmissione televisiva, Mr B disse qualcosa come “Signora Bindi, lei è sempre più bella che intelligente.” A parte la vigliaccheria di telefonare per imporre la propria voce evitando il contraddittorio, quello che mi è rimasto impresso in mente è lo sguardo incredulo di Rosy Bindi. Penso che, da un lato, fosse rimasta perplessa di fronte a tale manifestazione di ignoranza e che, dall’altro lato, non si aspettasse un insulto così personale e diretto.
La battuta è indice di una concezione della donna da parte di Mr B e, purtroppo, di troppi italiani che è divenuta ormai evidente con gli ultimi scandali. E tuttavia, a parte l’indignazione di qualunque persona civile, la battuta non è un delitto. Si tratta di mancanza di tatto, spregiudicatezza, analfabetismo civile, senso di illiberalità, pochezza intellettuale, scarsa cultura politica e, forse, qualcosa d’altro.
Non intendo commentare nel merito la battuta che, di per se, a me pare si commenti da sola. Vorrei invece fare una riflessione di tipo diverso. La sparata del primo ministro non è offensiva solo per Ms Bindi ma per tutti gli italiani e le italiane. La stessa relazione suggerita dal premier può essere valida, in quelle condizioni, per le nostre madri, sorelle, nonne, amiche, colleghe, compagne. Per quale motivo? Semplice, perché la valutazione è estremamente soggettiva. Per quanto sappiamo, non penso Mr B abbia sotto mano i dati del IQ di Ms Bindi. Inoltre, le affermazioni sull’aspetto fisico di una persona (che non dovrebbero mai entrare in un dibattito politico perché totalmente irrilevanti) sono anch’esse soggettive. Anche qui, per quanto ne sappiamo, Ms Bindi è di sicuro considerata una persona molto bella per nipoti, amici, eventuale compagno, e molti altri. Cosa definisce la bellezza di una persona? Anche la cosiddetta bellezza fisica è un aspetto discutibile e soggettivo. Per esempio, sono sicuro che molte persone, poste di fronte all’alternativa di una cena con Ms Bindi oppure con una delle puttane (prezzolate e non) che Mr B è solito frequentare, non avrebbero alcun dubbio su cosa rispondere. Scherziamo? Lasciamo le puttane ai puttanieri!
In sintesi, una “battuta” come quella infame riportata sopra è umiliante non solo per chi la subisce in quel momento ma per chi ritiene di pensare diversamente, per chi pensa che i valori siano altri. E in quel dibattito televisivo Ms Bindi rappresentava quei valori, impersonando le nostre sorelle, madri, zie, nonne, colleghe, amiche, fidanzate che hanno diritto di esprimere le loro opinioni a prescindere da considerazioni di carattere soggettivo di chi ascolta. 
Insomma, non è certo Mr B che può valutare dell’intelligenza o della bellezza di un avversario politico o di una terza persona qualunque. Ancora peggiore è stata la dimostrazione di quanto poco si siano indignati gli italiani. Mr B pensi alla propria di intelligenza. No comment sulla “bellezza.”

Saturday, January 22, 2011

Gli intoccabili

Il punto discusso nel post precedente sulle "toghe rosse" necessita di essere esteso ulteriormente. Esiste un secondo argomento usato dai più per giustificare il fatto che Mr B non partecipi ai processi: E' quello di estendere una sorta di immunità alle più alte cariche dello Stato. Il motivo addotto è quello secondo cui i politici con incarichi particolarmente importanti (e.g., Presidente del Consiglio, Ministri della Repubblica, etc.) possano svolgere il proprio lavoro indisturbati. Anche in questo caso, l’assunto principale è quello che ci debba essere una “protezione” da parte di processi ingiusti e/o processi “politici” intentati da magistrati con colore politico diverso da coloro i quali ricoprono le cariche suddette.
Cerco di articolare un pensiero solo a questo riguardo. Il presente post è una continuazione di quanto scritto in quello precedente.
Immunità. Quale è il motivo per cui una qualunque immunità (parziale o totale) non ha alcun senso in uno Stato democratico? Per quale ragione una delle alte cariche dello Stato dovrebbe essere esonerato dal recarsi in un’aula di tribunale? Per quale motivo un Ministro della Repubblica, per esempio, dovrebbe essere considerato super partes e non alla stregua di un normale cittadino, qualora siano riscontrati reati compiuti al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni? La risposta a queste domande pare piuttosto semplice, se si segue la seguente argomentazione. 
Le costituzioni degli Stati democratici prevedono di solito dei contrappesi e bilanciamenti perché… il popolo può sbagliare! Ebbene sì, il voto popolare non implica che chiunque salga al potere sia adatto a governare. Non sempre il popolo è in grado di fare delle scelte consapevoli o accorte. Ci sono dei casi in cui le persone elette si dimostrano indegne del proprio incarico e, per questa ragione, vengono invitate a dimettersi. Nel dibattito per la ratifica della Costituzione americana, per esempio, si metteva in evidenza come la carta avrebbe dovuto funzionare a prescindere dalla persona che sarebbe andata a coprire l’incarico più alto, quello di Presidente dell’Unione. La carta è stata studiata in modo da garantire che la democrazia funzioni in difesa dei cittadini nel caso in cui il Presidente si riveli inadeguato, inadatto, corrotto, o altro (per approfondimenti, si veda Secchi & Bardone, 2009. Uniti e diversi). Talvolta non si tratta nemmeno di norme scritte nella carta costituzionale ma di regole di comportamento e di decenza non scritte ma più stringenti di quelle scritte. 
Questa semplice ragione—cioè che il popolo può sbagliare—vale a svuotare di significato quanto affermato spesso da Mr B e dai suoi mercenari. Il fatto che ci siano dei cittadini che ancora sostengano il governo non significa che qualunque comportamento sia lecito per un Presidente del Consiglio, un Ministro o un sottosegretario. E non significa nemmeno che coloro i quali ricoprono le più alte cariche dello Stato possano commettere qualunque tipo di nefandezza rimanendo “intoccabili.” Di cosa parliamo? A me pare che avere una categoria di “intoccabili” equivalga a introdurre una pseudo-dittatura. Quando ci sono degli intoccabili, il rischio di comportamenti illeciti aumenta anziché diminuire. Per quale ragione ci si dovrebbe porre dei limiti quando non si è sottoposti alla legge? Al contrario, proprio coloro che hanno grandi responsabilità necessitano di significativi limiti e controlli sul loro operato. Su questa linea si potrebbe aggiungere che tutti gli incarichi pubblici, proprio per la loro natura di “servizio” alla cittadinanza e per l’utilizzo di risorse pubbliche, debbano essere sottoposti più dei normali cittadini a uno scrutinio attento sul proprio operato.
Insomma, comunque la si ponga, la questione è chiara: l’immunità porterebbe l’Italia a fare un ulteriore passo verso un autoritarismo che sembrava essere stato abbandonato tempo fa.
Come spero di aver mostrato, l’argomento sulle toghe rosse (post precedente) e questo sull’immunità lasciano intendere che le ragioni per le quali Mr B cerca di evitare i processi costituiscono delle gravi violazioni dei più elementari principi democratici e della convivenza civile. 
Spero solo che quei cittadini che non hanno mai voluto vedere inizino a togliere quel prosciutto che hanno sugli occhi… è ammuffito ormai!!