Wednesday, August 28, 2019

Risposta a Carlo Calenda


Sono iscritto nella mailing list di Siamo europei (SE), un gruppo istituito da Carlo Calenda che cerca di stimolare il dibattito della sinistra (in special modo, del PD) sulla centralità dei temi dell'Unione Europea.

Da qualche tempo a questa parte, dopo le elezioni europee, SE si è concentrato su questioni di politica nazionale, in modo quasi inspiegabile, devo ammettere. Alla ultima decisione — errata, secondo me — del fondatore Carlo Calenda di lasciare il Partito Democratico, ho risposto come segue.


Saturday, July 6, 2019

La sinistra danese anti-immigrazione

La comune interpretazione che la stampa italiana (e non solo) ha dato del risultato delle elezioni in Danimarca non è accurata. La ragione è, probabilmente, superficialità, in quanto la Danimarca è un paese piccolo e, di solito, non viene coperto dalle news nazionali. Oppure, il motivo può essere quello di una carenza di pensiero critico, che si manifesta nella presa di informazioni dalle fonti, senza porsi problemi sulla interpretazione. Infine, la ragione potrebbe semplicemente essere la mancanza di prospettiva, derivata dal fatto che specifiche comparazioni tra trend storici sono accessibili solo a chi conosce la lingua danese.

Come descritto nel post precedente, il sistema politico danese si basa su due coalizioni, quella della sinistra, il blocco rosso (rød blok), e quella dei conservatori, il blocco blu (blå blok). All'esterno di queste due coalizioni, vi sono i partiti dell'estrema destra e dell'estrema sinistra.

È ormai noto che le sinistre hanno vinto le elezioni, spodestando il gabinetto precedente che governava con l'infausto sostegno dell'estrema destra. Secondo la versione dei fatti maggiormente in auge, il partito di maggioranza relativa di sinistra, chiamato Socialdemokratiet,  avrebbe vinto le elezioni grazie ad una politica molto dura sull'immigrazione. In molti hanno paragonato le loro posizioni a quelle della destra estrema.

Capisco che la retorica di destra voglia fortemente che questa interpretazione sia quella corretta, in modo da dimostrare come la maggioranza dell'opinione pubblica abbia ormai interiorizzato la loro retorica di criminalizzazione dell'immigrato. Chiaramente, questa posizione sarebbe ancora più solida qualora anche gli elettori di sinistra — tradizionalmente più inclusivi, quando si parla di diversità — sembrassero convenire che il problema richieda misure drastiche. Niente di più sbagliato, almeno nel  caso delle elezioni danesi.

Sebbene sia purtroppo corretto riscontrare che Socialdemokratiet abbia sostenuto una visione radicale sull'immigrazione, non è affatto vero che questo fattore abbia contribuito alla loro vittoria. Al contrario, la percentuale di voti è calata di uno 0,4% rispetto alle elezioni precedenti, attestandosi al 25,9%. Il numero di parlamentari è invece salito di uno, come dimostra il grafico qua sotto, in virtù dei rapporti con gli altri partiti.

Fonte: https://www.dr.dk/nyheder/politik/resultater/folketingsvalg
Come mostrato nella parte in basso dello stesso grafico, il partito più duro in assoluto sul fronte dell'immigrazione, il partito di estrema destra Dansk Folkeparti (O), ha visto la propria presenza in parlamento drasticamente ridotta, con un calo del 12,4%, equivalente a 21 parlamentari in meno, rispetto alle elezioni del 2015.

In altre parole, la coalizione di sinistra ha potuto vincere per via del successo dei due partiti del blocco che si posizionano alla sinistra di Socialdemokratiet. Come possibile osservare sempre nello stesso grafico, Radikale Ventre (B) e Socialistisk Folkeparti (SF) hanno aumentato il numero di parlamentari di ben 8 e 7, rispettivamente.

Dunque, ricapitolando, il partito di sinistra con una politica dura sull'immigrazione è anche quello più grosso nella coalizione rossa. Di solito, questo partito ha sempre riportato delle percentuali abbastanza simili nelle varie tornate elettorali nazionali. I due partiti della sinistra radicale e socialista — entrambe più tradizionalmente legate agli ideali di integrazione e tutela della diversità e dunque pro-immigrazione — hanno riscosso un significativo successo e garantito il successo della coalizione. Ergo, la linea dura sull'immigrazione non ha portato voti alla sinistra.

[Il post è chiuso e, tuttavia, vorrei segnalare che la destra moderata si è radicalizzata in Danimarca, con effetti devastanti per quanto riguarda il dibattito politico. Il partito di maggioranza relativa del blocco blu, Venstre, ha di fatto preso i voti di una larga parte dell'elettorato di quella destra estrema che ha perso le elezioni. Dunque, gli entusiasti di una linea dura sull'immigrazione esistono, ma non si trovano a sinistra!]

Tuesday, July 2, 2019

Elezioni in Danimarca: quale partito avrei votato

Qualche settimana fa si sono tenute in Danimarca le elezioni politiche nazionali. Per via di una stortura nelle varie legislazioni europee, i residenti non-danesi non possono votare. E dunque, uno si trova nell'assurda condizione di pagare le tasse nel paese di residenza ma non avere alcun diritto di influenzare il modo in cui queste vengono investite e redistribuite.

Sebbene ci sarebbe molto da dire su questa stortura, figlia di una concezione basata essenzialmente sul primato etnico nazionale invece che su di un principio democratico e di equità, vorrei invece presentare la mia dichiarazione di voto: Se avessi avuto il diritto di poter esprimere la preferenza, per chi avrei votato?

Il sistema partitocratico danese presenta essenzialmente due blocchi, quello rosso e quello blu. Il primo (quello rosso) raggruppa partiti tradizionalmente legati alle varie correnti della sinistra mentre il secondo (quello blu) individua i partiti popolari e conservatori neo-liberisti. Al di fuori di questi due blocchi, si collocano i partiti dell'estrema destra neo-fascista, come il Dansk Folkeparti, equivalente alla Lega italiana, il Nye Borgerlige, un partito anti-EU, e lo xenofobo e anti-islam Stram Kurs.

Il governo uscente del blocco blu presentava una maggioranza zoppa, vale a dire che la coalizione non aveva una maggioranza parlamentare ma si reggeva sul supporto "esterno" del partito neo-fascista Dansk Folkeparti. Nel sistema danese il partito che ottiene la maggioranza dei voti nella coalizione (il blocco) esprime il primo ministro. Tramite accordi con i partiti di minoranza appartenenti alla stessa coalizione di governo, il blocco esprime i vari ministri.

Fin dall'inizio del 2019, sembrava chiaro che il governo uscente non sarebbe riuscito a rinnovare il mandato. In queste circostanze, la leadership del partito di maggioranza relativa del blocco rosso, Socialdemokratiet, avrebbe ricevuto l'incarico di formare il nuovo governo. Per ragioni sicuramente discutibili ma dirette ad attrarre parte dell'elettorato di destra, Socialdemokratiet aveva iniziato da tempo una trasformazione dei propri principi fondatori, arrivando persino ad avere posizioni molto critiche sull'immigrazione — posizioni simili a quelle del partito neo-fascista Dansk Folkeparti, pertanto inaccettabili da chiunque abbia un minimo di umanità. Il problema, dunque, per un elettore di sinistra diventava quello di trovare il modo di limitare la deriva di un governo diretto da Socialdemokatiet. Le opzioni che si presentavano erano sostanzialmente due: la sinistra radicale, Radikale Venstre, e i socialisti/verdi di Socialistisk Folkeparti.

Come ci si può immaginare, una volta escluso il partito di maggioranza, la scelta sarebbe dovuta essere quella di un partito capace di limitare la deriva destrorsa e spingere su posizioni di una sinistra progressista moderna. Queste si configurano nei principi di equità, solidarietà, sussidiarietà, sostenibilità e internazionalismo. Tra i partiti del blocco, solo Socialistisk Folkeparti sembra rispettare la maggioranza di questi principi.

Thursday, May 9, 2019

Un reddito di esclusione

A più riprese si sente parlare del reddito di cittadinanza come di una misura tipica di una politica di sinistra. In generale, penso che questo sia corretto, nel senso che una misura che distribuisce delle risorse a tappeto ad una fascia della popolazione indicata come bisognosa, può senz’altro candidarsi ad essere definita una una misura sociale e di sinistra. Questo, bisogna sottolineare, ammesso che i criteri per definire i beneficiari siano ben specificati, equi e ispirati a valori delle pari opportunità.*

Tuttavia, quello che ci si dimentica spesso di ricordare è che le misure sociali non sono esclusivo appannaggio della sinistra. Infatti, esse sono state presenti anche durante i regimi totalitari di destra, nel senso che, per esempio, sia il nazismo tedesco che il fascismo italiano si sono storicamente definiti come nazionalsocialisti. Questo ha comportato che vi fossero delle misure introdotte durante il ventennio e rivolte, per esempio, a sostegno delle famiglie prolifiche o alle famiglie degli operai. In realtà, molti hanno indicato come le politiche sociali del fascismo fossero orientate alla gestione del consenso più che ad alleviare eventuali disequilibri. Infatti, alcuni notano che spesso si trattava di misure attuate con alta discrezionalità (dunque non eque) sulla popolazione.

Il punto che sto cercando di portare avanti in questo breve post è quello di sostenere che i criteri di selezione della fascia di popolazione alla quale la misura si riferisce determina la valutazione sulla pertinenza politica della manovra. A questo proposito, sembra che l'attuale reddito di cittadinanza così come introdotto dal governo Lega-Cinque Stelle non venga distribuito a tutti coloro i quali rispettino determinate caratteristiche, dunque secondo un criterio di status civile. Al contrario, pare che i non italiani (chiamati immigrati dal governo, per sottolineare che si tratta di persone "diverse") siano esclusi a priori, nonostante abbiano uno status tale da poter chiaramente rientrare nei criteri di selezione.

Questo elemento definisce il reddito di cittadinanza come un reddito di esclusione perché viene utilizzato fondamentalmente per distinguere i bisognosi italiani dai bisognosi "stranieri". È un modo per incrementare la discriminazione piuttosto che per ridurla. Di fatto, il reddito di cittadinanza rientra nella fattispecie della misura sociale nazionale, laddove l’aggiunta di questa specificazione — di questa qualifica — lo fa rientrare nella categoria delle misure di sostegno sociale di destra (nemmeno tanto moderna).

Affinché la stessa misura sia catalogabile come "di sinistra" o, se si preferisce, come "socialista", occorre che lo status del residente sia considerato come criterio primario, con indifferenza rispetto all'afferenza o meno ad uno Stato nazione come l’Italia. Un esempio di un criterio simile può essere il caso del sussidio allo studio elargito dallo Stato danese a tutti gli studenti in Danimarca, a prescindere dalla loro provenienza.

Dunque, alla domanda se il Movimento 5 Stelle sia un movimento di sinistra o meno io non saprei cosa rispondere, ma alla domanda se il reddito di cittadinanza sia una politica di sinistra, sarei portato a rispondere negativamente e dire che è uno strumento per imporre una discriminazione tipica della più bieca destra nazionalista. I socialisti dovrebbero indignarsi!


____________________
* Intendo, in questo caso, fare riferimento alle einaudiane parità delle condizioni di partenza.