Thursday, March 24, 2011

Fenomenologia della crisi [Parte I]

Ho sempre trovato molto sconfortante l’idea che vi sia una ciclicità nella storia. Frasi quali “la storia si ripete”, i “cicli e ricicli storici” o altre simili sottintendono un pensare piuttosto superficiale e una mancanza di spirito critico sul come interpretare il presente. Pensare che ci siano dei cicli che ricorrono periodicamente nella storia dell’umanità significa non riconoscere che l’organizzazione di fenomeni complessi, quali la vita sociale, economica, culturale, politica e quant’altro, non sono mai (né lo possono essere) uguali a se stessi. Il motivo sta nella fondamentale imprevedibilità del comportamento umano o, se permettete, della psico-sociologia e della dinamica socio-cognitiva che lo influenzano. Inoltre, i fenomeni ambientali non si ripetono mai uguali a loro stessi. Ragionando per assurdo, l’introduzione di una stessa legge da parte di un ipotetico governo nel 1850, nel 1938, 1955 o 2005 avrebbe implementazione, reazioni e interpretazioni differenti. Insomma, il mix di variabili in gioco è talmente ampio che davvero rende possibile guardare con un certo incredulo distacco l’idea che vi siano dei cicli che si ripetono allo stesso modo nella storia dell’umanità.
Tuttavia, si possono trovare delle analogie storiche o delle condizioni che, ripetute in periodi e modi differenti, esprimono la possibilità che talune situazioni emergano. Queste condizioni sarebbero un presupposto (non necessario, né sufficiente) affinché un fenomeno abbia qualche chance di manifestarsi. Sono eventi “in potenza.” A cosa mi riferisco? Quanto ho in mente è legato alla crisi economica, la cosiddetta “crisi della politica” e direi, più in generale, quasi una crisi della convivenza civile. Tratto ciascuna delle tre “crisi” separatamente. Il presente post (parte I) è dedicato alla crisi economica.

Il passato decennio ha visto emergere due cataclismi finanziari che hanno avuto un significativo impatto sulle economie di quasi tutti i paesi avanzati. La prima crisi è stata quella legata alla bolla speculativa sui titoli delle società cosiddette “.com”. L’euforia dei primi anni successivi alla irruzione nella vita di milioni di persone di una nuova tecnologia, aveva dato il via ad un ampliamento degli orizzonti per l’imprenditoria. Questa euforia è stata accompagnata da una serie di quotazioni in borsa delle nuove società e ad un successivo entusiasmo degli investitori, istituzionali e non. La reazione dei prezzi alle acquisizioni di massa di certe azioni aveva portato le borse valori a livelli inaspettatamente elevati e, come si è capito in seguito, non legati all’economia reale. Di conseguenza, di fronte ad un rallentamento del fenomeno web le borse sono crollate investendo l’economia e la finanza, oltre alle aspettative degli investitori. La dimensione del crollo, si diceva allora, era del tutto simile a quella del 1929. In effetti, l’indice Dow Jones Industrial—indice spesso usato per avere un’idea generale dell’andamento del mercato borsistico dei titoli legati alla manifattura in USA—aveva perso circa il 20% nel 1929 e circa il 17% nell’anno 2002. Tuttavia, le due situazioni sono diverse relativamente alla performance dell’indice. Il 2000 registra infatti un calo dell’8% mentre il 2004 un incremento del 34% circa. Durante la crisi del 1929-32 la situazione era ben diversa: il Dow Jones Industrial ha continuato a perdere nel 1930 (-30%), nel 1931 (-54%), nel 1932 (-23%), per arrivare all’inversione di tendenza solamente nel 1933. A voler ben vedere, questa comparazione—usata frequentemente in quegli anni—non ha molto significato. E non mi riferisco ai numeri ma alla sostanza della comparazione. Spiego meglio. La crisi dell’inizio degli anni 2000 è stato un fenomeno delle società legate alla tecnologia e, come si sa, queste sono quotate nel NASDAQ. La crisi di inizio del secolo era legata al cuore dell’economia del periodo: l’industria manifatturiera tradizionale e le banche. E allora, vediamo cosa ci dicono i dati dell’indice NASDAQ Composite: anno 2000, -39%; 2001, -21%; anno 2002, -32%; anno 2003, +50%. Questi dati sono molto più allarmanti dei primi. Bolla speculativa o crisi? Crisi o sintomo di un sistema finanziario fragile? Prima di rispondere, andiamo avanti con la seconda crisi, quella attuale.
La crisi che attraversiamo ha le sue radici nell’anno 2008. Molti analisti fanno partire tutto dal crollo del subprime, ossia il mercato immobiliare americano legato a finanziamenti bancari (mutui per la casa in particolare) con un elevato grado di rischio. Anche in questo caso, la crisi è stata paragonata a quella del 1929. E la crisi finanziaria si è associata ad una forte crisi del sistema economico. Ma andiamo a vedere la performance del Dow Jones Industrial: 2008, -34%; 2009, +19%; 2010, +11%.  Il NASDAQ riporta invece: 2008, -41%; 2009, +44%; 2010, +17%. I segni sono gli stessi per entrambi gli indici, l’entità della variazione è differente essendo i titoli delle società più “giovani” e/o hi-tech di solito anche i più volatili. Vi sono tuttavia difficoltà interpretative. Come può una bolla speculativa (quella del 2000-2002) assomigliare alla recessione del 1929-32 più di quel che gli economisti chiamano recessione degli anni 2008-20XX? Forse le dinamiche di borsa non sono sufficienti ad analizzare il fenomeno. Altri dati sono necessari. Continuiamo con gli Stati Uniti.
Insieme agli indici delle borse valori, la tabella presenta i dati del prodotto interno lordo (GDP, Gross Domestic Product) e della disoccupazione (unemployment rate). I primi dati riguardano la variazione del GDP rispetto all’anno precedente. Gli anni 1929-1932 mostrano una situazione di devastazione in atto nel sistema economico, con la produzione di ricchezza che arretra del 13% (sic!) nel 1932 e la disoccupazione che raggiunge il 23%. Questi dati non trovano riscontro nelle due crisi di cui parliamo. Durante la crisi del 2000-2002, la disoccupazione aumenta ma non sembra raggiungere livelli allarmanti (5.8%) e il GDP cresce ad un tasso ridotto. La crisi del 2008-20XX (e due “x” indicano che non sappiamo quando finirà) presenta una situazione più allarmante: la disoccupazione ha raggiunto e superato il 9% e il GDP è arretrato di 2.6 punti percentuali nel 2009. Il grafico qua sotto presenta i dati della variazione percentuale di importazioni ed esportazioni, insieme al dato sul GDP degli Stati Uniti negli ultimi 80 anni. Come è possibile notare, la variazione si è accentuata negli ultimi anni ma nulla di paragonabile alla recessione della prima parte del secolo scorso.

Ci sono due considerazioni che occorre tenere presente. La prima riguarda la borsa valori. Questa è una rappresentazione del sistema, non il sistema. Si tratta di un utile indicatore, capace di fornire un sintomo al fine della diagnosi, ma poco attendibile se considerato singolarmente.
La seconda considerazione riguarda il fatto che i dati presentati sono lo specchio di situazioni e politiche economiche totalmente differenti. La crisi attuale, per esempio, è stata limitata grazie a quanto imparato dai governi del 1929. Le banche e alcune grandi imprese manifatturiere non sono fallite; lo Stato è entrato nel sistema e ha soccorso le imprese in difficoltà, con misure non scevre da critiche. Inoltre, gli Stati Uniti non sono più l’economia “emergente” che erano negli anni ’20 e ’30 ma una economia matura, sebbene le oscillazioni nei valori della economia sono sempre molto più accentuati di quanto i verifichi nei “vecchi” Stati europei.
Insomma, il paragone con quanto avvenuto nel 1929, negli Stati Uniti così come in molti altri Stati occidentali non sembra avere un fondamento. Ma allora, si può parlare di crisi? E crisi di che cosa?
La crisi economica è oggi non la causa di una crisi sociale e politica. Probabilmente è vero il contrario, la crisi dell’economia riflette la vacuità di alcuni degli equilibri sociali (forse anche culturali) che hanno fondato il sistema esistente. Ma questo ci porta a quanto scriverò nella parte II.

Friday, March 18, 2011

Idea nucleare

Non riesco a commentare la tragedia che ha investito il Giappone. Ognuno di noi è chiamato a riflettere su quanto accaduto e non ci sono parole per descrivere quel che si prova nel leggere gli articoli e, soprattutto, nel vedere la devastante e imprevedibile forza della natura. 
Esiste tuttavia qualcosa su cui è d’obbligo fare qualche considerazione. In questi giorni, in queste ore, tutto il mondo trattiene il fiato nella speranza che la centrale nucleare di Fukushima non ceda definitivamente. Ho trovato l’intervista a Carlo Rubbia, andata in onda nel TG3 del 16 marzo 2011 particolarmente condivisibile.


Per sintetizzare, scrivo due implicazioni: (1) nel caso in cui una centrale nucleare vada incontro a problemi, alcuni dei quali non sono prevedibili qualunque sia la generazione della centrale, il costo sarebbe inestimabile in termini di vite umane interrotte o deteriorate; (2) l’idea che uno Stato precario e disorganizzato come l’Italia possa investire nel nucleare far rabbrividire i nostri vicini europei, se non gli italiani stessi.

Tuesday, March 15, 2011

Il giuramento

Oggi, martedì 15 marzo 2011, leggo sui giornali che alcuni esponenti della Lega Nord hanno abbandonato una funzione pubblica durante l’inno nazionale italiano. In quel caso si è trattato di consiglieri regionali della Lombardia ma i ministri della Lega non disdegnano di insultare il tricolore, la Repubblica e l’unità d’Italia.
Non mi pare il caso di ricordare i vari sproloqui—a partire da Mr Bossi per finire con Mr Calderoli, Mr Maroni, e molti altri. Mi permetto invece di citare questa frase, trovata nel sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri:
"Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione" (link)
Sono sicuro che sapete di che si tratta: è la formula rituale del giuramento cui tutti i ministri sottostanno. I ministri della repubblica giurano fedeltà alla Repubblica. Non si specifica quale ma pensate sia quella padana (che non esiste)? Ci si riferisce forse alla costituzione della repubblica del nord? E quale “nazione”? Rileggete bene il testo adesso. 
Tutti gli appartenenti al governo fanno un giuramento formale di fronte al Presidente della Repubblica, nel quale dichiarano di esercitare le proprie funzioni “nell’interesse esclusivo della nazione.” Questo non è un giuramento in deroga alla Costituzione ma ne implementa i principi. Pertanto (1) l’interesse non è da intendere assoluto ma nel rispetto delle diversità, delle autonomie regionali, e delle differenze che pure esistono e costituiscono la ricchezza del paese; (2) la nazione cui si fa riferimento è lo Stato, posto che facciamo parte di un cosiddetto Stato-nazione, nel quale sono riconosciute le differenze e il nazione non individua cosa divide i vari italiani ma sottolinea quanto questi abbiano in comune (cioè la nazione è qui lo Stato); (3) nonostante le differenze regionali e gli interessi che si possa avere distinti da quelli dello Stato, la scelta di far parte del governo implica che questi interessi siano messi da parte e che le funzioni siano esercitate nell’interesse esclusivo dello Stato. In sintesi, quest’ultimo principio significa che si riconosce un interesse preordinato agli altri: quello dello Stato.
Ora, lasciamo pure stare tutti i vari leghisti che operano localmente. Questi signori e signore, oltre ad ignorare elementari nozioni di storia, sociologia, cultura, etnografia, filosofia, politica ed economia, non hanno alcun vincolo. In sintesi, l’ignoranza può essere una colpa—e sicuramente lo è per tutti coloro i quali promuovono la discriminazione, l’odio raziale, la xenofobia—ma ciascuno è libero di esprimere la propria opinione. 
Quello che non dovrebbe essere permesso in uno Stato civile è di consentire che coloro i quali recitano il giuramento di cui sopra poi, di fatto, agiscano nell’interesse di pochi o di aree specifiche dello Stato, delegittimino l’esistenza della nazione (intesa come Stato) e non riconoscono affatto la superiorità degli interessi statali sopra ogni altro. Ma come è possibile che un Ministro della Repubblica (con la M maiuscola) non riconosce né legittima lo Stato che dovrebbe rappresentare?
A me pare che i nostri ministri della Lega Nord hanno un chiaro obiettivo: sfasciare lo Stato o quel che ne rimane. Qualora ci riuscissero, avrebbero facile accesso al discontento popolare e alla agognata secessione. Una nota su questo. Quale è uno dei capisaldi fondamentali di uno Stato autonomo? Non pensare troppo. Si tratta delle finanze, dell’autonomia tributaria. Da dove raccimolano le risorse i nostri leghisti? Forse dalle regioni, comuni e province che controllano? Probabilmente il disegno di “federalismo” (tra virgolette) fiscale assume una diversa luce se interpretato in questa chiave, nevvero? 
E allora, cosa stanno cercando di fare i leghisti? E quanto scrivo non è forse quello che hanno sempre detto che avrebbero fatto?
Una conclusione logica in due punti. Il primo è che il Presidente della Repubblica potrebbe ricordare, di tanto in tanto, che esiste un giuramento e richiamare i ministri che non sembrano operare in ottemperanza alla Costituzione. Il secondo è che i vostri leghisti dovrebbero spiegare come si fa a dichiarare di voler sfasciare lo Stato pur avendo giurato il contrario. Cattiva fede? Menzogne?

Wednesday, March 2, 2011

I diritti delle donne

Il 13 Febbraio molte italiane parteciperanno ad una manifestazione per sottolineare l’importanza che alle donne sia riconosciuta dignità, rispetto e, soprattutto, pari opportunità. Vista dagli Stati Uniti, la manifestazione appare sacrosanta in un paese che viola costantemente i diritti delle donne. Queste violazioni non sono solo un segnale di inciviltà ma denunciano il fallimento di uno Stato. Il paese si distingue, tra quelli occidentali, per l’assenza di leggi a tutela della parità tra i sessi, la mancanza di una cultura del rispetto, il rifiuto, da parte di donne e uomini, di comprendere che le differenze tra i sessi e che le pari opportunità sono un valore da condividere e, possibilmente, da scrivere (o riscrivere in maniera più chiara) nella Costituzione della Repubblica.
Con tutti i difetti che gli Stati Uniti mostrano a se stessi e al resto del mondo, penso che si siano fatti dei notevoli passi avanti verso una maggiore parità dei sessi. Non sarebbe nemmeno da scrivere che le “battute” di Mr B sulle donne (per non parlare dei comportamenti) avrebbero probabilmente portato alle dimissioni immediate. Cioè, in realtà, non sono proprio sicuro di questo. Infatti, è impensabile che un Presidente degli Stati Uniti si manifesti irrispettoso, anche solo nelle affermazioni, dei diritti delle donne in genere o di una donna in particolare. Ma non andiamo così in alto. Diciamo che anche io rischierei il mio posto di lavoro qualora una studentessa riportasse, potendolo dimostrare, una mia eventuale affermazione sessista. Racconto un episodio, banale ma che forse rende l’idea. 
In una delle classi ero uso fare un esempio su come si prendono le decisioni. Nel corso del mio primo semestre negli States portavo un esempio che riguardava la scelta dei vestiti. La battuta, fatta solo per “alleggerire” la lezione e renderla più piacevole, riguardava il fatto che la scelta può essere una non-scelta per i ragazzi, posto che di norma si prende qualunque cosa stia sopra la pila dei vestiti (magliette, pantaloni o altro). La prima cosa che si vede è quella che finisce indosso. Per le ragazze, la scelta è più complicata invece. Il problema diventa il color-matching e gli abbinamenti di stile, per così dire. Ho notato che solo i ragazzi sghignazzavano. Insomma, per farla breve, in uno dei commenti anonimi che ho ricevuto a fine semestre, una studentessa mi invitava ad evitare commenti “sessisti.” Ho pensato (e ancora penso) che, per così poco, il commento mi pareva eccessivo. E tuttavia, pure negli eccessi ho capito che esiste una cultura del rispetto e della dignità delle differenze che deve essere considerata. Avrei sbagliato se avessi continuato a fare l’esempio così com’era. E dunque, faccio ancora l’esempio ma prendo per il culo me stesso.
Detto questo, ritorno alla manifestazione e ne traggo spunto per commentare un grave episodio recente.
Vi ricordate la (tristemente) famosa battuta di Mr B rivolta a Ms Bindi? In un intervento telefonico ad una nota trasmissione televisiva, Mr B disse qualcosa come “Signora Bindi, lei è sempre più bella che intelligente.” A parte la vigliaccheria di telefonare per imporre la propria voce evitando il contraddittorio, quello che mi è rimasto impresso in mente è lo sguardo incredulo di Rosy Bindi. Penso che, da un lato, fosse rimasta perplessa di fronte a tale manifestazione di ignoranza e che, dall’altro lato, non si aspettasse un insulto così personale e diretto.
La battuta è indice di una concezione della donna da parte di Mr B e, purtroppo, di troppi italiani che è divenuta ormai evidente con gli ultimi scandali. E tuttavia, a parte l’indignazione di qualunque persona civile, la battuta non è un delitto. Si tratta di mancanza di tatto, spregiudicatezza, analfabetismo civile, senso di illiberalità, pochezza intellettuale, scarsa cultura politica e, forse, qualcosa d’altro.
Non intendo commentare nel merito la battuta che, di per se, a me pare si commenti da sola. Vorrei invece fare una riflessione di tipo diverso. La sparata del primo ministro non è offensiva solo per Ms Bindi ma per tutti gli italiani e le italiane. La stessa relazione suggerita dal premier può essere valida, in quelle condizioni, per le nostre madri, sorelle, nonne, amiche, colleghe, compagne. Per quale motivo? Semplice, perché la valutazione è estremamente soggettiva. Per quanto sappiamo, non penso Mr B abbia sotto mano i dati del IQ di Ms Bindi. Inoltre, le affermazioni sull’aspetto fisico di una persona (che non dovrebbero mai entrare in un dibattito politico perché totalmente irrilevanti) sono anch’esse soggettive. Anche qui, per quanto ne sappiamo, Ms Bindi è di sicuro considerata una persona molto bella per nipoti, amici, eventuale compagno, e molti altri. Cosa definisce la bellezza di una persona? Anche la cosiddetta bellezza fisica è un aspetto discutibile e soggettivo. Per esempio, sono sicuro che molte persone, poste di fronte all’alternativa di una cena con Ms Bindi oppure con una delle puttane (prezzolate e non) che Mr B è solito frequentare, non avrebbero alcun dubbio su cosa rispondere. Scherziamo? Lasciamo le puttane ai puttanieri!
In sintesi, una “battuta” come quella infame riportata sopra è umiliante non solo per chi la subisce in quel momento ma per chi ritiene di pensare diversamente, per chi pensa che i valori siano altri. E in quel dibattito televisivo Ms Bindi rappresentava quei valori, impersonando le nostre sorelle, madri, zie, nonne, colleghe, amiche, fidanzate che hanno diritto di esprimere le loro opinioni a prescindere da considerazioni di carattere soggettivo di chi ascolta. 
Insomma, non è certo Mr B che può valutare dell’intelligenza o della bellezza di un avversario politico o di una terza persona qualunque. Ancora peggiore è stata la dimostrazione di quanto poco si siano indignati gli italiani. Mr B pensi alla propria di intelligenza. No comment sulla “bellezza.”