Quante volte abbiamo letto che la moneta unica europea non ce la può fare, che l’euro cadrà sotto i colpi della speculazione internazionale, che il progetto è partito con uno o parecchi vizi di fondo. E ancora leggiamo che alcuni esperti di economia e finanza internazionale---molti sono da sempre euro-scettici---condannano le scelte della Germania e dell’area-euro di sostenere le economie in crisi (Grecia in primis). Forse chi scrive in questi termini ha ragione e tuttavia un semplice sguardo prospettico potrebbe suggerire altrimenti. Facciamo un passo per volta.
È banale ricordare, anche se in troppi sembrano essersene dimenticati, che la moneta unica non è altro che l’ultima tappa di un processo iniziato nel 1951, con la fondazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Quali erano gli obiettivi del processo di unificazione europea? Il preambolo del trattato CECA, e di quello che istituisce la Comunità Economica Europa (CEE), risponde alla domanda in almeno due modi: (1) evitare che si scateni un’altra guerra nel continente attraverso (2) l’integrazione di parti sempre più rilevanti della struttura socio-economia dei paesi membri (allora solo 6), per arrivare gradualmente (ma inevitabilmente) ad una vera e propria unione politica. L’euro si inserisce in questa prospettiva. Non è altro che una delle ultime tappe del lungo processo di integrazione che, si auspica, porterà ad una unione sempre più stretta tra i paesi e i popoli del continente.
Dunque l’euro non è un evento separato da tutto quanto lo ha generato e dalle prospettive/problematiche che si sperava aprisse. Una di queste prospettive/problematiche era appunto quella di mettere politica, economia e società davanti ad una evidenza: le economie dei paesi europei necessitano di un governo. Le relazioni economico-finanziarie tra i paesi europei sono ormai così strette che non sembra più possibile andare avanti senza un governo dell’area-euro. In sintesi, la crisi può essere efficacemente fronteggiata non solo costringendo gli Stati nazionali a politiche economiche di rigore e crescita ma con delle azioni uniformi a livello europeo. E queste azioni sono azioni di governo: politiche economiche, sociali e fiscali europee.
Come sempre in questi casi, vi sono diversi modi per raggiungere l’obiettivo. E gli estremi sono sempre quelli: (a) procedere in modo graduale alla cessione di sovranità nazionale, e (b) creare un governo europeo a capo di uno Stato europeo.
La crisi è crisi dell’euro e dell’Unione Europea così come la conosciamo. Se accettiamo la prospettiva offerta, potremmo riconoscere che la crisi sia, almeno in parte, dovuta al fatto che negli ultimi 20 anni circa (e precisamente dal Trattato di Maastricht, 1992), il processo di unificazione abbia subito un netto rallentamento, seguito ai primi 40 anni di crescita. La soluzione, qualunque essa sia, dovrà partire da un rilancio del processo di integrazione europea.
A mio modo di vedere, quanto ho scritto sono semplici banalità. È ovvio pensare all’euro non solo come moneta ma come simbolo del moderno tentativo degli Stati europei di superare insieme le difficoltà economiche e politiche che, dal secondo dopoguerra ad oggi, hanno dovuto affrontare. Non si tratta solamente di “economia” o “finanza.” Certamente questa dimensione esiste ed è molto importante. Tuttavia, più importante di questa è la dimensione politica e di significato: la moneta unica è una delle tappe che, si spera, porterà ad una più stretta unione tra i popoli e gli Stati europei. E questo necessita di una più stretta integrazione politica, di un governo europeo.
Ecco perché i commenti strettamente basati su soluzioni economico-finanziarie portano necessariamente a giudizi negativi sull’area-euro e sulle prospettive dell’Europa: perché non colgono l’aspetto fondamentale, quello politico del processo di unificazione. E non considerare l’aspetto politico e di prospettiva significa sottovalutare il problema, non comprendere l’essenza di ciò che l’euro rappresenta per il continente: il futuro.
Un’ultima osservazione. Ho notato che molti dei commenti negativi sull’euro e sulle prospettive della crisi per l’Unione Europea arrivano da economisti “Made in USA” o “Made in UK.” Strano, non trovate? Chissà che non stiano esprimendo in qualche misura del wishful thinking…