Wednesday, October 19, 2011

Una nota sugli scontri

Il 18 ottobre 2011 a Roma si è tenuta una imponente manifestazione featuring l’indignazione della popolazione per la crisi italiana e globale. Il corteo è balzato agli onori (si fa per dire) della cronaca per via delle devastazioni di cosiddetti “black bloc,” ossia individui incappucciati che bruciano, spaccano, distruggono la città.

Come volevasi dimostrare, gli organi di stampa di proprietà del (o comunque vicini al) governo hanno colto la palla al balzo e accusato l’opposizione, proposto generalizzazioni pressappochiste, sputato sentenze e dato fiato ai soliti pregiudizi su chi scende in piazza a manifestare le proprie idee. Anche il governo (o quel che ne rimane) ha dato prova di se. Mr Maroni si è affrettato a dichiarare quanto sta nei sogni proibiti di ogni estremista di destra: è ora di leggi “speciali.” Già già, speciali. Non sono leggi normali quelle che limitano la libertà di espressione della cittadinanza. Devono essere straordinarie, eccezionali, o semplicemente “speciali.” Ma, prima di ritornare alla decisione di Mr Maroni, avanzo un paio di considerazioni sui criminali mascherati.

Come appare evidente dalle immagini diffuse sul web, gli individui mascherati sono una sparuta minoranza di quelli scesi in piazza il 18 ottobre. Ciononostante sono stati capaci di creare scompiglio e rovinare una giornata di pacifica protesta. Come è stato possibile? In primo luogo, e affermo l’ovvio, penso che non si tratti di un gruppo disorganizzato di persone che hanno deciso una volta arrivati a Roma di iniziare il “saccheggio.” Forse qualcuno ha pensato bene di aggiungersi una volta iniziato. Ma per portare quel tipo di distruzione, sapendo dove andare, come assediare la polizia e come nascondersi tra la folla, immagino che sia necessario un minimo di coordinamento. Dunque, la prima domanda (forse semplice) è: a quale organizzazione o associazione fanno capo questi individui?

La seconda osservazione riguarda le forze dell’ordine. Ancora dalle immagini diffuse in rete risulta chiaro che gli individui responsabili della distruzione erano facilmente riconoscibili perché per lo più vestiti di nero, con il volto coperto da passamontagna o dal casco e spesso brandivano qualcosa (una spranga, un estintore, altro). Immagino che gli agenti di polizia e i carabinieri siano addestrati per far fronte ad episodi di guerriglia urbana. Altrimenti non si capisce cosa ci stiano a fare. Comunque, se non i singoli agenti, immagino un comandante dell’esercito o della polizia che sia “esperto” in servizio d’ordine di manifestazioni imponenti, guerriglia urbana, lotta per le strade o altri simili (e tristi) eventualità. Seconda domanda: come può accadere che, quando i facinorosi sono circoscritti e ben riconoscibili, le forze dell’ordine non siano in grado di intervenire?

Che un corteo pacifico possa degenerare è una eventualità che dovrebbe sempre essere considerata da chi è esperto di ordine pubblico. La composizione dei manifestanti studiata, i percorsi analizzati, alcuni agenti infiltrati e i presidi distribuiti con criterio (non random, come pare sia accaduto). Terza batteria di domande: Ma davvero pensiamo che le forze dell’ordine dello Stato italiano non abbiano queste competenze? Davvero si pensa che siamo nelle mani di sprovveduti? E se così, cosa si aspetta a rovesciare l’ordine dello Stato, magari instaurando una democrazia vera e propria?

Due i casi: (1) lo Stato italiano ha un corpo di polizia totalmente sprovvisto della professionalità minima e necessaria per mantenere l’ordine pubblico oppure (2) i criminali mascherati sono stati lasciati liberi di agire di proposito (forse erano loro gli “infiltrati”).

Per tornare a Mr Maroni, i dubbi espressi sopra derivano dalle dichiarazioni lette sui giornali. Di fronte al fallimento (se tale è stato), una persona seria e responsabile (e mi pare che il Ministro dell’Interno sia responsabile, tra le altre cose, dell’ordine pubblico!) si esprime con un mea culpa e dichiara che occorrerebbe studiare meglio e di più le modalità di intervento per garantire il costituzionale diritto dei cittadini di protestare pacificamente. Invece, la geniale pensata è quella di presentare delle leggi “speciali.” Dunque, per curare un cancro sarebbe lecito e giusto fare fuori la persona, no? Il ragionamento non fa una grinza. 

Il problema italiano si sta espandendo a macchia d’olio. Criminali mascherati e quelli non mascherati hanno iniziato ad agire di concerto.

Monday, October 3, 2011

Come liberarsi degli altri

L’altra sera ho visto il film del regista danese Anders Rønnow Klarlund, dal titolo Hvordan vi slipper af med de andre (trad. “come liberarsi degli altri”). Ambientato in una Danimarca contemporanea (o dell’imminente futuro), il film racconta la storia della soluzione adottata dal parlamento danese per fare fronte alla crisi del welfare state. Le statistiche nazionali mostrano che il 20% della popolazione usufruisce del 60% dei programmi di assistenza. In periodi di crisi economica, questo può rivelarsi un grave problema, come abbiamo tutti imparato a riconoscere. La soluzione? Creare dei campi di concentramento per eliminare tutti coloro i quali abbiano vissuto alle spalle della società (nel film si tratta di alcolisti, falliti, disabili, etc.).

C’è una strana sensazione di incredulità che prende durante la visione, nonostante il film sia girato con poche iperboli grottesche. Man mano che seguivo le vicende dei personaggi principali, nella mia mente si faceva sempre più chiara una analogia. Cosa sconvolge quando si pensa all’adozione di una “soluzione” così drammatica e drastica? Beh, si potrebbe dire, molte cose. In primo luogo, la mancanza assoluta di rispetto per la vita umana. In secondo luogo la sofferenza delle persone, la brutalità dei mezzi, lo stato di polizia, e altri simili aspetti fondamentali. Ma non è tutto qua. Questi, è vero, sono aspetti fondamentali ma probabilmente lontani dalla realtà per molti Stati occidentali. E, paradossalmente, il film presenta una idea che potrebbe praticamente essere adottata. Il paradosso consiste appunto nell’immaginare quali sarebbero le conseguenze, sul piano internazionale soprattutto, per uno stato europeo che introducesse campi di sterminio come parte della politica di “risanamento” dei conti pubblici. Uno dei punti di forza del film è appunto questa sottile oscillazione tra realismo e paradosso. Sebbene interessante, questa non è l’analogia di cui ho scritto sopra.

Ciò che mi ha colpito è invece il parallelo i partiti estremisti (e.g., Lega Nord). Se ci si pensa, la “soluzione” non è affatto tale. Al contrario, il problema delle risorse da distribuire in uno Stato costituisce uno dei problemi principali, soprattutto per garantire il futuro e l’agio delle generazioni future. La “soluzione” è un rifiuto di affrontare il problema e, come tale, non risolve nulla. Semplicemente aiuta ad evitare di pensarci. In parallelo, quale è la soluzione proposta da partiti europei come la Lega Nord di fronte alla distribuzione delle risorse in Italia? Secessione. Ecco l’analogia. Quando non si hanno idee o strumenti intellettuali di altro genere per affrontare i problemi, la “soluzione” è amputare, tagliare, condannare, dimenticare o, per usare le parole del film, liberarsi degli altri.

Ci sono mille ragioni per condannare le politiche leghiste ma a me pare che questa analogia aiuti a mettere in evidenza (a) la pochezza intellettuale dei promotori, (b) l’illusorietà di talune “soluzioni” e (c) la pericolosità di modi e mezzi.

Speriamo che la realtà italiana non superi il grottesco e il paradosso di questo film surreale.